La storia del mining di criptovalute è necessariamente assai corta, per cui gli appassionati della prima ora avranno ben impressa nella memoria tutta l’evoluzione che questo mondo ha subito. E quando si parla di monete virtuali si parla necessariamente e indissolubilmente di Bitcoin. Agli inizi è nato per essere un metodo di pagamento libero da interessi più grandi, con cui comprare, in modo alternativo, dei piccoli oggetti su internet. Ben presto però le cose sono cambiate e il resto è storia, probabilmente (non sta a noi giudicare) nel vero senso della parola.
La situazione degli ultimi tempi è, invece, diversa sia da un punto di vista degli interessi economici che sono subentrati, sia dal punto di vista dell’interesse mediatico che ha, in un modo o nell’altro, sponsorizzato tutto l’immenso mondo delle criptovalute. Questi fenomeni sono legati a doppio filo con altrettanti avvenimenti che sono accaduti nel corso del 2017, vale a dire l’aumento esponenziale del costo del Bitcoin e la creazione di tutta una serie di altre monete virtuali, cloni del Bitcoin e il relativo exploit già avvenuto, per alcune di loro, lo scorso anno (come nel caso di Ethereum, la moneta del futuro si potrebbe dire).
Tutti questi eventi hanno portato a un interesse sempre maggiore sia da parte delle aziende sia da parte dei privati cittadini e questo ha comportato il proliferare esponenziale degli ultimi anni dell’utilizzo di apparecchiature private al fine di compiere i complicati calcoli che sono necessari per minare monete virtuali. Si è scoperto che particolarmente performanti e utili a tal fine fossero le GPU (schede video) che normalmente sono utilizzate nei pc da gaming o per utilizzi professionali che richiedano potenza di calcolo per il rendering 3D, 2D, per lo sviluppo di AI (intelligenza artificiale) o per la machine vision (per fare a capirsi, si tratta dei sistemi che montano le self-driving car).
Con il tempo però i calcoli necessari per creare nuove monete sono diventati sempre più complessi e laboriosi, tantoché è diventato poco conveniente usare i pc per farlo poiché questi ultimi, con le loro potenti (anche nel senso elettrico del termine) componenti, consumano una grandissima quantità di energia, così tanta da sopravanzare l’utile prodotto. Perciò in alcuni negozi di un centro commerciale di Singapore, il Sim Lim Square, sono state messe in vendita delle macchine pre-assemblate ottimizzate proprio allo scopo di essere convenienti nel caso siano utilizzate per minare criptovalute, le cosiddette “mining rig”.
Il proprietario di uno di questi negozi, al secolo Wilson Josup, avrebbe dichiarato ai giornalisti di Bloomberg che lui vendeva uno o due impianti a settimana quando aveva iniziato a farlo circa sei mesi fa, fino ad arrivare ai circa 10 attuali. Il range di età è il più ampio possibile, dai ventenni fino ai pensionati di cui la maggior parte acquista un impianto che costa 4000$ singaporiani (circa 3000$ USA), soprattutto con lo scopo di minare Ethereum, la criptovaluta seconda per valore di capitalizzazione di mercato e che sembra essere destinata a diventare leader indiscussa a discapito del Bitcoin.