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Cassazione, spiare i dipendenti su Facebook non è reato

Facebook continua ad essere il protagonista di alcune sentenze della Cassazione. L’ultima riguarda il rapporto dipendente – datore di lavoro e un falso profilo creato da quest’ultimo sul social network per controllare i lavoratori.Facebook, trattandosi di una piattaforma pubblica, potrebbe determinare spiacevoli situazioni anche in ambito lavorativo. Qualche anno fa un datore di lavoro pensò bene di controllare i suoi dipendenti creando un falso profilo sul social network e l’attività di supervisione terminò con un licenziamento.

Facebook diventa uno strumento per salvaguardare l’azienda

La storia di cui vi parliamo oggi è iniziata nel 2012 quando un dipendete di un’azienda abruzzese fu licenziato dal datore di lavoro dopo essere stato scoperto a svolgere attività estranee alle sue mansioni durante l’orario di lavoro.

Il capo della fabbrica si iscrisse su Facebook con un falso profilo di donna e chiese l’amicizia al lavoratore. Quest’ultimo anziché svolgere la sua attività di lavoro utilizzo più volte lo smartphone per chattare con la nuova amica. Scoperto questo, il responsabile licenziò il dipendente il quale si rivolse al tribunale per licenziamento illegittimo.

La sentenza della Suprema Corte ha dichiarato che, anche se il controllo esercitato del datore di lavoro è stato realizzato con l’inganno, non era finalizzato a revisionare l’operato del lavoratore, ma bensì, a scoprire un atto illegittimo compiuto ai danni dell’azienda. In particolare, con riguardo al comportamento del responsabile, la sentenza afferma: “era destinato a riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti”.

Quindi la creazione del falso profilo su Facebook è stato un atto compiuto dal datore di lavoro per salvaguardare l’azienda e secondo la Cassazione non costituisce un atto illecito. Il licenziamento è avvenuto per giusta causa e non si può parlare di reato.

Che ne pensate di questa sentenza della Cassazione?

FONTEInternational Business Times
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