I tempi cambiano e anche le regole sui social. Se prima dire “bimbominkia” a qualcuno su Facebook era all’ordine del giorno, ora si va incontro a reato di diffamazione aggravata in quanto lesivo dell’onore altrui. Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione che si occupa di calmierare le offese su internet di chiunque. Ma perché questa decisione?
Bimbominkia: il caso di Enrico Rizzi
La questione è più seria di quanto si pensi, basti pensare al caso Rizzi. Enrico, questo è il suo nome, è un animalista siciliano condannato per diffamazione dopo aver offeso la memoria del defunto Diego Moltrer, presidente del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e appassionato di caccia. Per difenderlo, un’amica molto stretta su Facebook dà del bimbominkia a Rizzi, il quale da imputato si trova a ricoprire il ruolo di parte lesa denunciando così la donna presso il Tribunale di Trento. Conclusione: la sentenza “ha affermato la penale responsabilità di C.M. (l’amica dell’ex presidente Moltrer, ndr) per il reato di diffamazione aggravata continuata commesso ai danni di E.R. (Enrico Rizzi, ndr)”.
Ma cosa significa “Bimbominkia”? Dal Vocabolario Treccani si evince: “Bimbominkia s.m. (spreg.) Nel gergo della Rete, giovane utente dei siti di relazione sociale che si caratterizza, spesso in un quadro di precaria competenza linguistica e scarso spessore culturale, per un uso marcato di elementi tipici della scrittura enfatica, espressiva e ludica (grafie simboliche e contratte, emoticon, ecc.)” – .
La sentenza aggiunge: “Anche il diritto di critica deve essere esercitato entro determinati limiti, tra i quali vi è quello della continenza, non potendo la critica trascendere nello scherno e nella derisione“.