La vicenda inizia a Caserta dove un utente, dopo aver disattivato la propria linea telefonica, si è visto addebitare 65,00 euro. L’utente ha fatto appello al giudice di Pace, ma Wind controbatte affermando che i costi sono stati approvati da AGCOM e che non sono di recesso ma di vera e propria “manodopera” per la disattivazione della linea. Quindi Wind non registra questi costi (pensate se lo facesse per ogni utente) e quindi non ha potuto documentare che effettivamente quei 65,00 euro erano stati spesi.
Il giudice Caputo ha dato ragione al consumatore dato che per la ex legge n° 40/2007 “i contratti per adesione stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificati da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni”.
Insomma la legge parla chiaro; ha ragione il consumatore ed i costi addebitati sono illegittimi. Anche il fatto che i costi siano effettivamente di disattivazione della linea non può essere preso in considerazione poiché è Telecom che gestisce le reti di telefonia fissa (non Wind!); senza tralasciare che la Wind non riesce a dimostrare di aver speso effettivamente quella somma.
Se veramente si dovesse pagare sembrerebbe una beffa per il consumatore dato che quando cambia operatore sta effettivamente pagando dei costi di recessi solamente che sono “camuffati” con una diversa segnatura. E’ poi un’ovvietà che se un operatore vi addebita dei costi bisogna ricevere una prova che quei soldi sono stati realmente usati.
Cambiare operatore può già rivelarsi un attività stressante ed impegnativa, se poi ci si mettono anche fattori del genere esterni ad aggravare la situazione, tutta la dinamica diviene insostenibile. Non è la prima volta che gli operatori finisco nell’occhio del ciclone per ambiguità; basti pensare ai rinnovi fatti per telefono mobile ogni 28 giorni e non ogni 30, guadagnando cosi un rinnovo all’anno.
Alla fine in tutto questo intricato puzzle di burocrazia, disservizi ed accrediti è spesso l’utenza che rimane vittima, anche se per questa volta la giustizia è stata fatta per il povero utente che si è visto recapitare la bolletta da 65,00 euro. Ricordarsi quindi che ogni qual volta si voglia recedere un contratto non si dovranno sostenere nessun tipo di spesa, o se si devono pagare esse vanno notificate dimostrando che è avvenuta l’effettiva spesa monetaria.
Le vicende è terminata con Wind che dovrà pagare sia le spese processuali che la somma che l’utente ha versato. Insomma, giustizia è stata fatta.