atmosferico

Nessuno studio ha finora dimostrato la presenza del nuovo coronavirus SARS-CoV-2 nel particolato atmosferico. Alcuni scienziati, però, hanno iniziato ad indagare la potenziale presenza di RNA virale su una serie rappresentativa di campioni di particolato atmosferico durante la prima ondata della pandemia da COVID-19.

Così, ricercatori dell’Università di Padova, hanno eseguito le loro ricerche concentrandosi soprattutto sulla città veneta e pubblicando poi i propri risultati sulla prestigiosa rivista Science of the Total Environment. In particolare, nel loro lavoro, gli scienziati italiani hanno analizzato quarantaquattro campioni di PM2,5 e PM10, raccolti tra il 24 Febbraio ed il 9 Marzo 2020, periodo immediatamente antecedente alle misure di lockdown nazionale. Secondo i ricercatori padovani, l’inquinamento atmosferico rappresenterebbe un mezzo mediante il quale la trasmissione del nuovo coronavirus subirebbe un incremento notevole.

Per tale ragione, dunque, è fondamentale mettere in atto adeguate misure di sorveglianza ambientale che non devono riguardare solo matrici quali i reflui urbani, i rifiuti solidi o gli aerosol, ma anche lo stesso particolato atmosferico. La possibile presenza di SARS-CoV-2 nell’atmosfera, infatti, desta particolare preoccupazione soprattutto per due motivi: per la possibilità di trasmissione aerea del virus e per la correlazione tra il superamento dei limiti di concentrazione di PM10 in alcune città italiane ed il numero di casi di COVID-19. Nonostante ciò, non c’è ancora un chiaro nesso di causalità ovvero che il particolato sia un veicolo di diffusione del virus.

In ogni caso, è fondamentale ridurre l’inquinamento atmosferico nelle nostre città, non solo per ridurre la probabilità di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, ma anche per rendere le nostre città più pulite e ricche di aria fresca.

FONTEScience of the Total Environment
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