I nuovi termini di licenza di WhatsApp in merito alla condivisione dei dati personali degli utenti con la piattaforma proprietaria del servizio, Facebook, non sono andati giù né all’utenza né a molte istituzioni europee e mondiali. Germania e Italia si erano già mosse in tal senso poco tempo fa anche se, per ora, senza nessun effetto concreto, tuttavia a fare da apripista nella campagna per la privacy degli utenti del client di messaggistica più usato al mondo è il Regno Unito.
I sudditi della regina difatti d’ora in poi potranno tirare un sospiro di sollievo in merito alla loro privacy visto che, su suolo britannico, WhatsApp non potrà più condividere i dati personali degli utenti con il social blu da cui era stato acquistato per ben 19 miliardi di dollari non molto tempo fa.
Il commissario per l’informazione Elizabeth Denham ha illustrato tramite un comunicato stampa i punti cardine della decisione intrapresa, spiegando agli utenti le motivazioni alla base di questo divieto. Anzitutto, come dovremmo sapere ormai tutti, WhatsApp concedeva agli utenti solo 30 giorni di tempo per negare il consenso al data sharing, per cui una persona poco informata o con poca dimestichezza in questo genere di cose avrebbe potuto perdere per sempre la possibilità di negare che Facebook usasse le proprie informazioni personali dopo solo un mese dall’introduzione della nuova EULA. Il secondo punto focalizza invece l’attenzione sul fatto che gli utenti, dando il consenso per un determinato tipo di servizio, avrebbero visto le proprie informazioni sfruttate per altri fini dalla compagnia.
“Non credo che gli utenti abbiano ricevuto abbastanza informazioni sull’uso che Facebook pianifica di fare con i loro dati personali e non credo che WhatsApp abbia ottenuto un consenso che possa ritenersi valido dagli utenti. Credo inoltre che gli utenti dovrebbero ottenere un controllo perpetuo sulle proprie informazioni sensibili e non in una finestra temporale di soli trenta giorni. – Queste le parole del commissario Denham – È importante che si abbia il controllo sui propri dati personali anche se il servizio che usiamo non è a pagamento. Possiamo anche essere d’accordo sul fatto che questa o quella compagnia usino i nostri dati personali in una certa maniera restituendoci un servizio in maniera gratuita, ma se queste informazioni vengono usate in maniera diversa dagli accordi, magari per un proposito che non ci va a genio, dovremmo davvero preoccuparci.”
Il Regno Unito dunque ha fatto il primo passo, ora si aspetta solo che anche la Commissione Europea e l’Antitrust diano seguito a quanto detto in passato.