Chernobyl

Notte del 26 Aprile 1986. Chernobyl, cittadina situata all’estremo confine tra Ucraina a Bielorussia, viene investita da una coltre di radiazioni ionizzanti che dal Reattore 4 si diffondono per un raggio di migliaia di chilometri in ogni direzione. Portati dal vento, gli agenti contaminanti fuoriusciti dalla centrale nucleare investono le aree verdi modificando in breve l’ambiente e la struttura dell’ecosistema locale spingendosi fino al Centro Europa. La vicina area boschiva viene ribattezzata come Foresta Rossa a causa dell’intensa attività radioattiva.

Da allora sono in corso tutta una serie di indagini al cui margine si trovano testimonianze dirette ed indirette della popolazione e dei protagonisti del disastro passato alla storia. Una serie di droni di ricognizione sono stati inviati a supervisionare l’area ancora inaccessibile. Tante persone hanno perso la vita nella speranza di poter contenere gli effetti della devastazione. Ma a quanto pare piombo, sabbia, boro e cemento non sono gli elementi cui attribuire il merito della relativa stabilità dell’ecosistema. A scoprirlo gli scienziati che capovolgono ogni nostra considerazione. Ecco le ultime novità dalla città fantasma.

 

Radiazioni Chernobyl: se siamo ancora vivi non è solo merito del cappotto di contenimento

La vita è continuata dopo Chernobyl e pare possa essere stato merito del Cladosporium sphaerospermum. Si tratta di un fungo spontaneo cresciuto là dove la vita non ha più trovato posto. Le sue proprietà di auto generazione ed auto riparazione hanno permesso un assorbimento a ciclo continuo delle radiazioni. Se in Europa abbiamo un’incidenza dell’1% sul dato complessivo è probabilmente merito suo. Questo quanto espresso dagli esperti in un articolo di rilevanza storica riportato sul New Scientist.

Un componente biologico così potente che è attualmente in sperimentazione a bordo della stazione spaziale internazionale (ISS) dove si valutano i suoi effetti benefici sui malati di cancro e l’equipaggio. Ma non è tutto. Secondo gli studiosi pare basterebbero pochi centimetri di questo fungo per assorbire le radiazioni di Marte per un intero anno. Sommando tutto questo al fatto di essere in presenza di una soluzione che si auto-ricrea all’infinito è facile pensare di poter colonizzare il pianeta rosso in un prossimo futuro. Ipotesi peraltro già presa in considerazione dalla NASA dopo i commenti che riportiamo qui a seguire:

“È già stato in grado di assorbire i dannosi raggi cosmici sulla Stazione Spaziale Internazionale. Potrebbe essere potenzialmente utilizzato per proteggere le future colonie di Marte”.

Clay Wang dell’Università della California del Sud ha concluso confermando che:

“I progressi nell’uso dei poteri dei funghi per scopi medicinali sono stati graduali, ma sono stati potenziati negli ultimi anni da uno studio in corso che ne ha visto inviare campioni nello spazio. Coltivandolo nella Stazione Spaziale Internazionale, dove il livello di radiazione è aumentato rispetto a quello sulla Terra”.

FONTEilfattoquotidiano
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