Fibra sito ministeroIl Piano Nazionale Banda Ultralarga ha come obiettivo il cercare di coprire il territorio del Paese con la fibra (FTTH o FWA), affinché ogni regione e città abbia a disposizione lo stesso livello di connessione, diminuendo così il divario digitale tra le diverse aree nazionali.

Il primo passo fu la designazione del progetto, affidato alla società Infratel a Open Fiber, tramite dei bandi finanziati grazie ai fondi del Pnrr. Questo, poi, portò alla creazione del sito bandaultralarga.italia.it. Venne poi aggiornato nel 2020 cosicché tutti potessero controllare in tempo reale i lavori di estensione della fibra sul territorio. Tuttavia c’è un piccolissimo dettaglio da considerare: i dati non sono stati aggiornati dal 2021 e quelli che ci sono, in alcuni casi, sono anche sbagliati.

Gli errori e le mancanze sui dati della Fibra

Sebbene i dati risultino stati aggiornati fino a luglio 2023, un controllo degli indirizzi rivela una serie di incongruenze. Addirittura, per alcuni già coperti dalla fibra FTTH, vi è segnato che “verranno coperti fino al 2025“. Viviamo nel futuro? 

In altri casi ne vengono segnalati alcuni indirizzi e numeri civici inesistenti, ma coperti. Insomma, una confusione a dir poco assurda.

Scorrendo la home page del sito ministeriale e guardando lo stato di avanzamento dei lavori in Italia, non è chiaro se si tratti del 2021 o del 2023, perché la tabella delle tecnologie fornite dagli operatori è aggiornata fino al 2022. Mentre, lo stato attuale dei lavori nei Comuni non riporta alcuna data. Ancora più preoccupante, tuttavia, è il fatto che il lancio nazionale del servizio di banda ultra larga sia indicato nel 2019

Per verificare la copertura in fibra vi consigliamo di affidarvi ai dati AGCOM e Open Fiber, sicuramente più attendibili. In alternativa, se doveste trovare dei dipendenti a lavoro, potreste fare come i vecchietti ai cantieri e chiedere informazioni.

Articolo precedenteVodafone, l’operatore colpisce ancora ma stavolta punta ad Iliad
Articolo successivoFacebook e Instagram si pagano: l’incubo degli iscritti è reale