Steve Yegge, brillante ingegnere e blogger statunitense con più di 20 anni di esperienza, laureato in Computer Science all’Università di Washington, ha deciso, dopo aver lavorato per quasi 13 anni a Google, di licenziarsi da questo ambiente che lo stava opprimendo.
A prima vista, specialmente per coloro che stanno seguendo una strada simile alla sua nel mondo dell’informatica, potrebbe risultare una pazzia sconsiderata. È abbastanza noto infatti, che lavorare per Google è sinonimo di successo nell’ambito informatico, se non addirittura quasi un sogno.
Ma allora perché Steve ha deciso di andarsene? L’ingegnere con un post di un blog nel quale, dopo aver affermato scherzando di essere convinto fino a pochi anni prima di morire soffocato dai brownies gratuiti offerti dall’azienda, per un infarto dovuto alle continue bizzarre evoluzioni della nota piattaforma di video sharing Youtube, spiega in dettaglio questa sua scelta:
“Anche dopo 20 anni di lavoro, devo ammettere che Google è uno dei migliori posti al mondo dove lavorare, sotto ogni aspetto in considerazione”. È noto infatti come Google in un certo senso “coccoli” i propri dipendenti, con postazioni di lavoro accoglienti, soluzioni per la mobilità, aree ricreative e via dicendo, senza parlare degli tanto ambiti stipendi e delle opportunità che si presentato a coloro che hanno lavorato sotto Google. “La ragione numero uno per cui ho lasciato questa azienda, è perché non sono più capaci di innovare”: con questa grossa affermazione, Steve riassume brevemente i suoi sentimenti per Google. Secondo Yegge, questa incapacità è dovuta principalmente a 4 fattori:
Inizia, affermando che Google è un’azienda che ha assunto recentemente un atteggiamento “conservazionista”, nella quale vige una politica di gatekeeping (filtraggio delle informazioni) e una propensità al non voler rischiare, mentre al contrario, bisognerebbe mantenere all’ordine del giorno i concetti di innovazione e mentalità aperta.
Google è arrogante…
Continua poi nel blog, facendo riferimento alle politiche interne adottate da Google, delle quali ne evidenzia però l’efficacia e l’inevitabile bisogno in una azienda così vasta: “La politica adottata da Google nel corso degli anni, è la causa di innumerevoli rallentamenti nella risoluzione di diversi problemi, tuttavia come l’ex SVP Bill Coughran ha affermato, l’alternativa sarebbe una dittatura interna, e questa è la soluzione ottimale al problema”.
Non si trattiene poi, dal sottolineare l’arroganza di Google. Non dei suoi colleghi, dei quali evidenza la bravura nelle loro mansioni e l’umiltà, bensì quella che costituisce l’ego dell’azienda. In particolare, si sofferma sul fatto che è inevitabile per un’azienda che ha avuto uno spaventoso successo, di acquisire un senso di invincibilità da cui scaturiscono pessimi risultati, come la tendenza a screditare i prodotti, ricerche, dati già esistenti di origini esterne all’azienda, not-invented-here syndrome, pessime scelte di marketing e una generale perdita del contatto con gli utenti.
Infine, conclude questa critica dicendo che, l’elemento più grave che lo ha convinto ad allontanarsi, è la predisposizione di Google ed essere un’azienda concentrata più sulla concorrenza che sui propri utenti. Al contrario di quanto dice uno dei loro nuovi slogan, “Prima l’utente, poi tutto il resto”, succede il contrario. Non insinua che Google non tenga a mente la volontà dei clienti, ma che la struttura organizzativa del colosso statunitense non è incentrata sul prioritizzare il proprio tempo sull’utente.
Chiunque volesse leggere per intero il post di Steve Yegge, può trovarlo a questo link.