Riciclo in crisi: miliardi di investimenti, ma profitti sotto zero

Il riciclo in Italia cresce nei volumi, ma non nei profitti: servono nuove regole e investimenti mirati per renderlo davvero sostenibile.

Il riciclo in Italia cresce nei volumi, ma non nei profitti: servono nuove regole e investimenti mirati per renderlo davvero sostenibile.

Il riciclo, in teoria, dovrebbe essere uno di quei settori destinati a crescere senza sosta: tutti parlano di sostenibilità, le campagne di sensibilizzazione si moltiplicano, e in generale sembra che l’attenzione al riuso dei materiali sia diventata parte del nostro vocabolario quotidiano. Ma la realtà – come spesso accade – è un po’ più complicata.

 

Il paradosso del riciclo italiano: volumi alti, utili negativi

Se si va a guardare da vicino il panorama dell’industria del riciclo in Italia, non si può ignorare una certa aria di stanchezza. I numeri parlano chiaro: sì, i volumi continuano ad aumentare, ma la redditività no. Anzi, va indietro. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio AGICI, le imprese del settore nel 2023 hanno registrato ricavi complessivi per oltre 7 miliardi di euro… eppure la marginalità è scesa sotto zero. Letteralmente: -0,6%. Un passo indietro rispetto a qualche anno fa, quando il settore sembrava finalmente pronto a spiccare il volo.
Ma cos’è che non funziona? In parte, è una questione di struttura. Le filiere del riciclo non sono tutte uguali: plastica, vetro, carta, organico e RAEE vivono in mondi quasi separati, con logiche, leggi e dinamiche economiche diverse. Questo ha portato a uno sviluppo a macchia di leopardo, con alcuni comparti più solidi (come le cartiere o gli impianti di termovalorizzazione) e altri ancora in difficoltà.
Nel frattempo, gli investimenti ci sono stati, anche importanti – oltre un miliardo nel solo 2023 – ma non sempre hanno portato ai risultati sperati. E il mercato, pur muovendosi, resta frammentato. Le operazioni di M&A sono aumentate (ben 73 solo nel 2023), ma spesso non bastano a ridisegnare un ecosistema davvero efficiente e competitivo.
Il punto è che ora serve un cambio di passo, e non solo da parte delle aziende. L’appello dell’Osservatorio è chiaro: servono politiche industriali più intelligenti, regole più semplici e una collaborazione vera tra pubblico e privato. Altrimenti si rischia di trovarsi con impianti moderni e cassonetti pieni, ma senza un modello sostenibile che regga nel lungo periodo.

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