Il settore dell’energia solare sta vivendo una fase di sviluppo. In tale contesto, il fotovoltaico si impone come protagonista della transizione energetica. Il lavoro degli scienziati è rivolto a perfezionare le tecnologie esistenti. Rendendole più efficienti, sostenibili e alla portata di tutti. In tale contesto, un ruolo di primo piano è ricoperto dalle celle solari al tellururo di cadmio (CdTe). Una tecnologia a film sottile che, anche con alcuni limiti, si distingue per le sue prestazioni. Le celle CdTe sono attualmente le più diffuse tra le soluzioni a film sottile. Secondo le stime del 2023, la capacità totale installata a livello mondiale supera i 30 GWp. Con circa il 40% degli impianti presenti negli Stati Uniti.
Celle solari al tellurruro di cadmio: ecco i recenti sviluppi
La loro popolarità è legata a diversi fattori. Oltre a garantire una discreta efficienza, tali celle mantengono prestazioni elevate anche in ambienti molto caldi. Situazioni dove altre tecnologie tendono a perdere efficienza.
L’efficienza media dei moduli in commercio si attesta oggi intorno al 21,4%. Ma in laboratorio sono stati raggiunti valori ancora più alti. Nel 2024, ad esempio, l’azienda statunitense First Solar ha stabilito un nuovo record toccando il 23,1%. Tale risultato rappresenta un traguardo importante per una tecnologia che continua a migliorare costantemente. E non è tutto. Tale tipo di celle richiedono meno energia per essere prodotte, hanno una durata maggiore nel tempo e tempi di fabbricazione ridotti. Inoltre, beneficiano di una catena di approvvigionamento ben consolidata, che le rende appetibili per investitori e aziende del settore.
Dal punto di vista strutturale, le celle CdTe si distinguono perché vengono realizzate in un unico strato compatto. Tale approccio, però, presenta delle criticità, in particolare nella fase di metallizzazione. Durante quest’ultima le alte temperature possono danneggiare la struttura del pannello e compromettere la produzione energetica. Per affrontare queste problematiche, un team della New York University ha condotto uno studio innovativo pubblicato. I ricercatori hanno sperimentato l’applicazione di un sottilissimo strato di ossido. Ciò prima dell’inserimento dei contatti metallici. Quest’ultimo, composto da materiali come ossido di alluminio, gallio o silicio. I quali fungono da barriera protettiva. Rinforzando così i punti critici della cella.
I risultati sono stati promettenti: la tensione elettrica delle celle è aumentata del 13%. E anche il cosiddetto “fattore di riempimento“. Un parametro chiave per valutare l’efficienza, ha mostrato miglioramenti. Gli scienziati sottolineano che per ottenere tali benefici, però, è essenziale mantenere lo spessore dello strato protettivo estremamente ridotto. Altrimenti si rischia di compromettere la conduzione elettrica.