La buona notizia è che le centrali a carbone in Italia stanno per chiudere. La notizia meno buona? Non proprio del tutto. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha confermato che sì, la produzione a carbone finirà come previsto nel 2024. Ma quegli impianti – enormi, rumorosi, ingombranti – non spariranno dal giorno alla notte. Verranno messi in “riserva strategica”, pronti a ripartire se dovesse servire. Un po’ come tenere il vecchio motorino in garage, nel caso l’auto nuova ti lasci a piedi.
Il carbone esce, ma resta dietro le quinte
E il motivo è semplice: viviamo in tempi imprevedibili. Se domani il prezzo del gas dovesse impazzire o se dovessero esserci problemi di approvvigionamento (già visti, tra l’altro), avere una carta in più da giocare potrebbe fare la differenza. Non è proprio una svolta green, ma tant’è.
Naturalmente, non tutti sono d’accordo. Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e leader della Lega, ha già detto che la chiusura delle centrali “non è nell’interesse nazionale”. E vuole parlarne con Giorgia Meloni e lo stesso Pichetto Fratin. Anche i pesi massimi di Enel ed Eni hanno storto il naso: chiudere centrali funzionanti mentre l’energia costa cara? Non proprio un’idea brillante, secondo loro.
Dall’altra parte della barricata ci sono le associazioni ambientaliste. E lì il tono è tutt’altro che pacato. Per Greenpeace, Legambiente, WWF e Kyoto Club, l’unico modo per fare davvero la transizione ecologica è dire addio – sul serio – al carbone. Punto. Altro che stand-by.
E il nucleare? Torna a fare capolino, ma con cautela. Si parla del 2030 o giù di lì, ma il ministro è prudente. E nel frattempo? Tutti gli occhi sono puntati sulle rinnovabili. Bisogna accelerare, dice Pichetto. Contratti a lungo termine, più fotovoltaico, meno dipendenza dal gas (soprattutto russo, che ormai non compriamo più). Insomma: il futuro è complicato. Ma un passo alla volta, ci si prova.