La scorsa settimana la comunità scientifica è stata in grande fermento grazie all’arrivo della prima foto ufficiale del buco nero al centro della nostra galassia, stiamo parlando di Sagittarius A, un buco nero super massiccio che vanta una massa pari a 4 milioni di masse solari, il quale ha mostrato per la prima volta il suo orizzonte degli eventi grazie alla foto ottenuta mediante l’Event Horizon Telescope.

Per ottenere questo risultato è stato a dir poco indispensabile l’utilizzo dei supercomputer, i ricercatori di tutto il mondo si sono appoggiati infatti al Frontera, un supercomputer ospitato al Texas Advanced Computing Center (TACC).

 

Una mole di dati enorme

I dati arrivati dall’Event Horizon Telescope hanno dovuto seguire una trafila di elaborazioni a dir poco incredibile, hanno infatti subito la processazione da parte di numerose modelli basati sulle proprietà fisiche dei buchi neri attualmente conosciute, conglomerato conosciuto come la “più grande libreria di simulazione di buchi neri mai vista”.

Charles Gammie, ricercatore presso l’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign ha espresso il proprio entusiasmo in merito i risultati dal momento che tutti i modelli sono riusciti a spiegare tutti i dati raccolti, grande traguardo per la fisica computazionale.

Il Frontera ha svolto la maggior parte dei calcoli, i quali hanno richiesto l’equivalente di 80 milioni di CPU-ore, a cui se ne sono aggiunte altre 20 milioni svolte dalla Open Science Grid della National Science Foundation (NSF).

Nel dettaglio il Frontera vanta la tredicesima posizione tra i supercomputer più potenti, tutto ciò grazie ai 23,5 petaflops di potenza di calcolo in LinPack grazie a oltre 448 mila core di circa 16.000 Intel Xeon Platinum 8280 (CPU Cascade Lake con 28 core ciascuna).

Stando ai dati il computer ha svolto 8 giorni di calcoli ininterrotti a cui aggiungere quelli della Open Science Grid, per arrivare ad un totale di circa 15 giorni, numero di calcoli che se svolti da una CPU single core avrebbero richiesto 11.400 anni.

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