Anonymous è uno tra i gruppi di attivisti anonimi più conosciuto ed è tornato più forte che mai. Il noto gruppo di hacker si unisce alle proteste per l’omicidio di George Floyd con l’intento di denunciare un sistema ormai corrotto. Floyd non è solo morto ingiustamente ma è morto per il colore della sua pelle.

Per capire perché Anonymous è tornato bisogna partire dal principio. Il 25 Maggio George Floyd è stato ucciso dalle stesse forze dell’ordine che avrebbero dovuto proteggerlo. Il poliziotto autore del reato ha soffocato Floyd per 8 minuti e 46 secondi. Non è la prima volta che in America le forze dell’ordine oltrepassano il limite, e non è la prima volta che succede per il razzismo fortemente radicato tra le popolazioni americane. Precisare che non tutti sono così non è sufficiente, oltre che ovvio. È invece importante farsi sentire, restare uniti difronte ad un’ingiustizia e cercare di combatterla. Anonymous è tornato proprio per questo. In un’era altamente digitalizzata anche fare attivismo online diventa cruciale. Pochi giorni fa il gruppo di hacker ha rilasciato un video provocatorio in cui accusa il sistema americano – e non solo – ricordando: “We do not forgive, we do not forget. Expect us” (“Non perdoniamo, non dimentichiamo. Aspettaci”).

BlackLivesMatter (“le vite dei neri contano”) è il cuore di queste proteste. Trattasi dello slogan rilanciato dai tanti manifestanti che vogliono giustizia per Floyd e per tutte le vittime che hanno avuto lo stesso destino. Svariate sono le polemiche in seguito alle proteste più violente, vere e proprie rivolte, che continuano da giorni sul territorio americano. Tuttavia, è importante ricordare che il caso di Floyd è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una realtà che non è nata il 25 maggio ma molto prima. Ed è proprio su questo che si focalizza anche Anonymous, ribadendo che la loro assenza era dovuta ad un’incessante attività potenzialmente rischiosa degli ultimi mesi. Stavano aspettando il momento giusto, secondo quanto dichiarato sui loro profili ufficiali.

Anonymous si ribella al governo corrotto, rivelando alcuni scheletri nell’armadio

La tecnologia diventa a sua volta protagonista in questa vicenda. L’avvento della tecnologia non ha reso più semplice la violenza ma l’ha resa “visibile a tutti” in un modo impensabile fino a qualche anno fa. Le proteste non ci sarebbero state o non allo stesso modo se l’omicidio di George Floyd non fosse stato filmato e il video non fosse diventato virale. Così come non ci sarebbero state le provocazioni di Anonymous. Molti non condividono la scelta di riprendere un’atrocità del genere e postarne il video, o la scelta di hackerare un sistema per combatterlo. Chi è al vertice tuttavia non ha solo più potere ma anche più mezzi.

La tecnologia diventa un’arma a doppio taglio. Da una parte ci permette di capire, di vedere con i nostri occhi, senza filtri, senza essere influenzati. L’altro lato della medaglia è molto più complesso. Un video può facilmente diventare virale ma può anche essere facilmente rimosso o dimenticato se si ha il potere per farlo. Su queste basi Anonymous è sceso in campo, per mostrare a tutti cosa si nasconde realmente dietro le istituzioni che talvolta cercano di falsare le notizie a nostro discapito e a loro vantaggio. Nessuno nega che quel che fanno sia illegale, ma è davvero illegale se il fine giustifica i mezzi? È una domanda cui nessuno può rispondere in modo assoluto. Lasciamo a voi le opportune considerazioni.

Vi ricordiamo che nel frattempo Anonymous continua imperterrito già da qualche giorno. Sono numerose le attività illecite trapelate online che coinvolgono il governo americano, in particolare il presidente Donald Trump, figura fortemente messa in discussione per la gestione di una situazione così delicata ed importante. Nel mirino di Anonymous ci sono anche altre figure e istituzioni di rilievo, tra cui il Vaticano, la Famiglia Reale e alcune celebrità. Sopratutto sui social la notizia e i documenti pubblicati dal gruppo di hacker sono ovunque, molto meno diffusi tra i telegiornali e altri canali ufficiali d’informazione. Ancora una volta questo conferma quanto i social possano essere un valido strumento di informazione, e in questo caso di rivolta.

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