Negli ultimi anni l’industria automobilistica non ha avuto un attimo di tregua. Dalla crisi dei chip alla transizione elettrica, passando per l’ascesa aggressiva della Cina e le tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti, i produttori si sono trovati a rincorrere una stabilità che continua a sfuggire. Ora però è arrivata una nuova incognita a complicare le cose: la stretta cinese sulle esportazioni di terre rare.
Battaglia per le terre rare, nuova minaccia per la transizione elettrica
Parliamo di materiali tanto invisibili quanto essenziali. Senza le terre rare, i magneti nei motori elettrici non esisterebbero. E senza quei motori, addio auto elettriche. Ma non solo: questi elementi sono presenti in molti componenti elettronici cruciali delle vetture moderne. Insomma, non stiamo parlando di un dettaglio secondario.
Il problema nasce dal fatto che la Cina controlla una porzione schiacciante del mercato globale delle terre rare. E oggi, in piena guerra commerciale con gli Stati Uniti, ha deciso di stringere le maglie dell’esportazione. Un messaggio chiaro: chi comanda l’approvvigionamento, comanda il gioco.
Le conseguenze? Già visibili. Suzuki ha dovuto fermare temporaneamente la produzione della Swift in Giappone. Ford, a maggio, ha sospeso le linee dell’Explorer nel suo stabilimento americano per una settimana. Bosch ha segnalato problemi a catena tra i suoi fornitori. E anche i big europei iniziano a muoversi: Mercedes resta in allerta, mentre BMW ha ammesso che parte della propria rete è già stata colpita.
Secondo CLEPA, l’associazione europea dei fornitori di componenti auto, diversi stabilimenti in Europa hanno dovuto fermarsi. L’Unione Europea lo sa e sta lavorando per rendersi meno dipendente da Pechino, ma sono processi lunghi, che richiedono infrastrutture, tempo e investimenti.
Nel frattempo, chi produce auto deve fare i conti con una risorsa diventata strategica quanto il petrolio. La mobilità elettrica è il futuro, sì, ma senza terre rare a disposizione rischia di restare ferma in garage.