Ora ha un nome, un cognome e un volto l’ex dipendente di Facebook che ha condiviso decine di migliaia di pagine di ricerche e documenti interni del social, quelli che il Wall Street Journal ha preso a pubblicare sotto il nome di “The Facebook Files”, e che hanno già fatto discutere per lo studio che indicava come Instagram giocasse un ruolo tossico nella vita degli adolescenti.

Si chiama Frances Haugen, ha 37 anni, ha conseguito la laurea ad Harvard e nel 2019 è stata product manager di Facebook, per poi dimettersi dal suo incarico nell’aprile del 2021. In italiano potremmo definirla “talpa”, ma sarebbe impreciso, dal momento che il termine include un’ombra necessariamente negativa, implicando una certa opacità etica. Scopriamo insieme le sue dichiarazioni.

 

Facebook: un ex dipendente accusa l’azienda

Frances Haugen ha deciso di venire allo scoperto e svelare la propri identità in un’intervista a “60 Minutes” della CBS, dove ha rincarato la dose contro il colosso di Marc Zuckerberg con altri temi scottanti. Ecco le sue parole: “Ho assistito ripetutamente a conflitti di interesse fra quello che era buono per il pubblico e quello per che era buono per Facebook. E Facebook ogni volta ha scelto quello che era meglio per lei“.

A smuovere la Haugen, spingendola verso questo rischioso j’accuse, è stata la scomparsa di una persona a lei cara dovuta proprio alle teorie cospirazioniste che circolavano sui social. E così ha raccontato di come abbia assistito, durante la propria permanenza in Facebook, a un cambio di rotta in relazione ai messaggi d’odio e alla disinformazione che circolava sulla piattaforma. Fino al 2019, a quanto pare, c’era “un piano di sicurezza” per contenere queste problematiche note, ma “dopo le elezioni presidenziali del 2020 qualcosa è cambiato“.

La vittoria di Joe Biden su Donald Trump, quindi, secondo la ricostruzione dell’ex dipendente ha dato la stura a un cambiamento importante, che coincide con un allentamento delle restrizioni relative ai messaggi d’odio e alla diffusione di contenuti dubbi sul risultato elettorale: una scelta che ha finito per favorire la diffusione delle teorie sui presunti brogli. La Haugen spiega che i guadagni di Facebook sono legati al consumo dei contenuti. E che quindi più contenuti vengono condivisi, più contenuti vengono consumati, meglio è. In questo contesto, la rabbia e l’odio costituiscono moltiplicatori formidabili. Tuttavia, afferma anche che Zuckerberg non abbia mai “deciso deliberatamente di creare una piattaforma dedicata all’odio”, ma come semmai abbia permesso “di fare scelte i cui effetti collaterali conducono a guadagni maggiori”.

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