Uno dei più grandi mali che affliggono la nostra epoca è senza alcun dubbio HIV, il virus che provoca la immunodeficienza umana (Human Immunodeficiency Virus) che appunto se non opportunamente trattato porta lentamente al decadimento del sistema immunitario fino all’esordio dell’AIDS, Sindrome da Immunodeficienza Acquisita.

Questo tipo di virus appartiene al genere dei lentivirus famiglia retroviridae, esso è caratterizzato da un lungo periodo di incubazione all’interno del soggetto che viene infettato e può essere trasmesso attraverso rapporti sessuali non protetti, tramite il sangue (via parenterale) e da madre gravida a figlio (via verticale).

Da sempre trovare un vaccino contro questo virus è una sfida per la comunità scientifica, dal momento che il suo meccanismo replicativo nella sua intrinseca natura permette al patogeno di eludere la guardia immunitaria, esso infatti, basa il suo genoma su due molecole di RNA+ che, una volta penetrate nella cellula vengono retrotrascritte da una trascrittasi inversa e poi integrate nel DNA cellulare da una integrasi, cosa che rende HIV latente nel genoma cellulare e invisibile al sistema immunitario.

Passi avanti verso un vaccino

Riuscire a produrre un vaccino contro HIV è dunque una sfida difficile ma dal valore assoluto per la comunità scientifica, chi positivo ad HIV infatti, nel tempo inizia a subire un decadimento delle cellule CD4+, i globuli bianchi che orchestrano la risposta immunitaria e senza la quale, si diventa esposti alle famose infezioni opportuniste, dal momento che appunto viene a mancare la risposta immunitaria.

Forse qualcosa però si sta muovendo, uno studio pubblicato oggi su The Lancet EBioMedicine, condotto in pazienti HIV+ in terapia antiretrovirale (cART), ha indicato il ruolo fondamentale della risposta immune contro la proteina Tat di HIV (Transattivatore), nell’indurre un costante recupero dei linfociti CD4+, e nel ridurre la viremia residua che cART non riesce a portare a zero.

Lo studio è stato condotto dal Centro Nazionale per la Ricerca su Hiv/Aids (Cnaids) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e dimostra la razionalità dietro agli studi già pubblicati dall’ISS sulla centralità di un vaccino anti-Tat per potenziare la ricostituzione del sistema immunitario.

Barbara Ensoli, Direttore del Cnaids dell’Iss e coordinatrice dello studio ha spiegato come cART porti ad un rapido e forte recupero di CD4+, la cui conta però dopo un po’ di anni di trattamento inizia a calare, con la presenza anche di intermittenti picchi di concentrazione virale chiamati viremia residua, che cART non riesce mai ad azzerare del tutto.

La direttrice ha proseguito poi sottolineando come invece, nei pazienti con terapia immune verso la proteina Tat, un transattivatore indispensabile alla replicazione virale, il controllo della viremia residua sia decisamente migliore e più efficace, cosa che nel tempo porta ad una immunoricostruzione benefica per il paziente, come evidenziato anche dallo studio, il quale pone i risultati positivi con il vaccino Tat in primo piano, esso ha completato la Fase II di sperimentazione nell’uomo sia in Italia che in Sudafrica, mostrando effetti positivi che perdurano anche dopo 8 anni dalla somministrazione.

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