Quando si parla di UAP — o, per usare il termine che tutti conosciamo, UFO — il rischio è sempre quello di scivolare in storie da film o in congetture al limite del paranormale. Ma questa volta, la storia è un po’ diversa. Niente alieni con antenne, niente luci nel cielo spiegate con “è sicuramente un messaggio da un’altra galassia”. Stavolta ci sono fisici veri, algoritmi intelligenti e strumenti scientifici usati di solito per andare a caccia della materia oscura. Sì, quella cosa invisibile che tiene insieme l’universo.
Non solo alieni: cosa succede quando l’AI analizza i cieli
Un gruppo internazionale di oltre 30 ricercatori, guidato da Matthew Syzdagis dell’Università di Albany, ha deciso di affrontare la questione UAP in modo serio. Hanno preso tecniche della fisica teorica — di quelle usate per cercare l’invisibile nei laboratori sotterranei — e le hanno applicate a uno dei temi più chiacchierati (e più derisi) della storia dell’aviazione.
Il loro obiettivo? Separare i misteri veri da quelli fasulli, quelli spiegabili con un pallone meteorologico o un drone, da quelli che, per ora, restano… beh, strani.
Uno degli strumenti chiave è un software dal nome lunghissimo, Custom Target Analysis Protocol (C-TAP), che analizza immagini e video frame per frame. È addestrato per distinguere segnali reali da semplici glitch o rumori digitali. Ma non lavora da solo: ogni analisi automatica viene rivista da esperti umani. Insomma, l’AI fa il grosso del lavoro, ma il giudizio finale resta agli scienziati.
Il team ha anche fatto incroci complicatissimi tra video, dati meteorologici e persino misurazioni di radiazioni cosmiche. Il tutto per capire, per ogni singolo avvistamento, se c’è stato qualcosa di fisicamente misurabile oltre all’immagine strana nel cielo. E non hanno lasciato nulla al caso: controlli trigonometria alla mano per escludere satelliti, ISS e qualsiasi oggetto noto che potesse passare da quelle parti.
Un test concreto è stato fatto a Laguna Beach, in California, nel 2021: ore e ore di dati analizzati e, alla fine, solo un caso è rimasto senza spiegazione immediata — un gruppo di punti luminosi bianchi su sfondo nero. Strano, sì, ma non abbastanza per gridare al miracolo (o all’invasione).
Il lavoro, pubblicato su Progress in Aerospace Studies, è forse uno dei tentativi più seri finora per trattare i fenomeni aerei non identificati con metodo e senza sensazionalismi. Perché sì, la scienza può occuparsi anche di queste cose — se lo fa con rigore e mente aperta.
E se alla fine di tutto scoprissimo che dietro a molti “misteri” c’era solo un pallone, un drone o un riflesso? Va benissimo. Ma se anche uno solo dovesse resistere a ogni tentativo di spiegazione, allora sì che ci sarebbe qualcosa di veramente interessante da studiare.