Sembra la scena di un film, ma è successo davvero. Un gruppo di ricercatori europei è salito su un jet partito dall’Isola di Pasqua, ha acceso 26 telecamere e si è messo a inseguire nel cielo un satellite in caduta libera. L’obiettivo? Guardare da vicino come si comporta un satellite quando rientra nell’atmosfera terrestre. Un po’ per curiosità scientifica, un po’ perché, con tutta la roba che stiamo mandando in orbita, iniziamo a farci qualche domanda sull’impatto ambientale.
Cosa rivela il rientro di un satellite sull’atmosfera
Il satellite si chiama Salsa (sì, come il ballo), ed era parte della missione Cluster dell’Agenzia Spaziale Europea. A settembre 2024 ha finito il suo giro nello spazio e ha iniziato il suo gran finale: una discesa spettacolare sopra l’Oceano Pacifico. I ricercatori, guidati dall’Università di Stoccarda, hanno seguito tutto in volo, riprendendo ogni secondo del rientro: un puntino luminoso che si infiamma, si spezza, scompare.
Durante quei 50 secondi di fuoco, Salsa ha rilasciato nell’atmosfera vari composti chimici — litio, potassio, alluminio — e gli scienziati hanno usato filtri speciali per identificarli. Perché tutto questo? Perché quei materiali, quando bruciano, potrebbero lasciare tracce nell’atmosfera che non spariscono subito. Alcuni, come l’ossido di alluminio, potrebbero addirittura contribuire alla riduzione dell’ozono.
C’è poi il problema più grosso: ogni anno mandiamo in orbita migliaia di nuovi satelliti. Prima o poi, torneranno giù. E ogni rientro è un’incognita. Può andare tutto bene, ma può anche succedere che qualche pezzo non si bruci e finisca a terra. Magari in zone abitate. Gli esperti lo dicono chiaramente: serve più attenzione, più regolamentazione. Ma, come spesso accade, finché non succede qualcosa di grave, tutto resta fermo.
Nel frattempo, il team continuerà a inseguire altri rientri — quelli dei satelliti gemelli di Salsa: Rumba, Tango e Samba. Un po’ come seguire una danza cosmica. Solo che questa, a differenza del ballo, ha conseguenze molto più concrete.