Traffico Internet ChipRaggiunto ancora una volta un nuovo record per quanto riguarda la trasmissione di dati utilizzando un’unica fonte di luce e un chip ottico. A quanto pare, gli ingegneri dell’Università tecnica della Danimarca hanno avuto il merito di raggiungere una velocità di trasmissione di ben 1,84 petabits al secondo (Pbit/s): quasi il doppio del traffico internet globale.

Riuscire a raggiungere velocità di questo tipo è davvero un’impresa. Nelle nostre abitazioni, la maggior parte delle connessioni Internet riescono a raggiungere più di 100 Megabit al secondo o in alcuni casi 1 Gigabit. Il petabit, invece è formato da 1 milione di Gigabit; ciò vuol dire che parliamo di una velocità di 20 volte superiore a quella ESnet6 della NASA.

 

 

Trasmissione Internet in un solo secondo: ecco come funziona il nuovo sistema

Spiegare nel tecnico questo risultato è davvero complicato, pertanto procederemo con parole più semplici: è stato consentito solamente il passaggio di una fonte di luce, un laser infrarosso tramite un chip ottico, che prende il nome di pettine di frequenza. La sua funzione è per l’appunto quella di dividere la fonte di luce in tantissime frequenze diverse.

Successivamente, avviene la codifica dei dati nelle varie frequenze mediante la modulazione dell’ampiezza e della loro stessa polarizzazione; prima di ricongiungerle in un unico fascio di luce che passa all’interno della fibra ottica.

Questo sistema è stato sfruttato per la trasmissione di 1,84Pbit di dati codificati in 223 canali di frequenza in una fibra ottica lunga 7,9km. Anche se parliamo di numeri davvero eccezionali, il record potrebbe essere infranto a breve. Infatti, ricercatori sostengono che i loro futuri modelli computazionali potranno raggiungere velocità addirittura superiori.

Il motivo è che la soluzione da noi utilizzata può essere modificata in scala. Sia per quanto riguarda la creazione di molte frequenze che per la divisione del pettine di frequenza in molte copie, così da usarle come fonti parallele in cui trasmettere i dati” spiega il professor Leif Katsuo Oxenløwe, principale autore dello studio.

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