Coronavirus: le app per il contact tracing diventano sempre più invadenti

La nascita iniziale (per ovvi motivi) delle app per il contact tracing fu chiaramente uno dei tanti tentativi per tenere a bada il Coronavirus. Ad oggi queste si sono ormai diffuse in quasi tutto il mondo, purtroppo però sono sorti anche gli utilizzi forzati da parte degli utenti. In molti paesi del mondo infatti si sta ricorrendo all’uso obbligatorio di tali applicazioni e inappropriato dei dati. A dichiararlo troviamo la rivista del Mit, l’istituto di tecnologia Usa, secondo cui Singapore, India e Filippine sono i paesi che stanno adottando politiche più invasive, a partire dall’obbligatorietà.

 

Coronavirus: la decisione dei vari paesi

Sono quindici le app che hanno applicato tale decisione. Il report lanciato lo scorso maggio ne ha censite circa una cinquantina in tutto il mondo, dall’Algeria al Vietnam, dando un punteggio da zero a cinque stelle in base a diversi parametri. A Singapore per esempio, l’app è stata adottata da circa metà della popolazione, ma a partire da dicembre dovrebbe divenire obbligatoria. In India il governo ha deciso di rendere pubblici anche i codici sorgente del programma. In tal caso il punto dolente è l’opacità del National Informatics Center, che ha nascosto i nomi degli sviluppatori e di coloro che maneggiano i dati. Anche nelle Filippine, il governo ha scelto di conservare i dati a tempo indeterminato.

D’altro canto troviamo invece le app di Germania, Francia e Gran Bretagna, le quali hanno adottato nuove policy che impediscono la condivisione dei dati. Rimane al primo posto l’Italia che, a cinque punti su cinque con l’app Immuni, è tra le più trasparenti.

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