Whatsapp reato diffamazioneLa vicenda di un ragazzo 13 enne intervenuto all’interno di una discussione su gruppo Whatsapp ha sollevato un vero e proprio polverone mediatico. Le ingiurie e le calunnie contro un partecipante hanno portato a provvedimento disciplinari che hanno fatto di una semplice chat un reato civile. Poco importa se la parte lesa era presente ed attiva sul gruppo. Nonostante la depenalizzazione delle attenuanti si riporta un caso di diffamazione.

 

Whatsapp: si introduce il reato di diffamazione

Secondo i giudici della corte di Cassazione di Roma gli insulti rivolti alla vittima facente parte del gruppo non sono da considerarsi diffamazione ma ingiuria in quanto perpetrati in presenza di altri soggetti. Nell’ipotesi in cui la parte lesa fosse assente si ricade in vece nel più grave reato di diffamazione, contro cui si procede civilmente.

Il ragazzo coinvolto nell’accaduto l’ha fatta franca per il semplice fatto di non trovarli nelle condizioni ideali di imputazione. I suoi 13 anni sono stati essenziali per sospendere la causa ma l’episodio ha aperto una nuova prospettiva sulla comunicazione online. Si definisce, infatti, che:

«L’eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive non può indurre a ritenere che, in realtà venga, in tale maniera, integrato l’illecito di ingiuria, piuttosto che il delitto di diffamazione», evidenzia la Corte, perché «sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato consenta in astratto anche al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa – si spiega nella sentenza – il fatto che il messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori, i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi, fa sì che l’addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore e offeso. Di qui – conclude la Cassazione – l’offesa alla reputazione della persona ricompresa nella cerchia dei destinatari del messaggio».


(Estratto di sentenza n.7904 della quinta sezione penale della Cassazione di Roma)

Così facendo si equiparano Whatsapp e tutti gli altri strumenti digitali di comunicazione s condivisione aduna condizione di vita reale. Il metodo di diffusione delle informazioni in chat non può essere considerato distante dalla comunicazione verbale. Se si ha il timore o la certezza che qualcuno stia speculando sulla nostra reputazione alle nostre spalle è possibile provare il reato presentando prova certa delle conversazioni presso i Tribunali. Ti è mai successo? Riporta la tua esperienza.

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