Il viaggio invisibile delle microplastiche nei mari profondi

Le microplastiche viaggiano fino a 2000 m di profondità, alterando il ciclo del carbonio e minacciando gli ecosistemi marini globali.

Le microplastiche viaggiano fino a 2000 m di profondità, alterando il ciclo del carbonio e minacciando gli ecosistemi marini globali.

Ogni giorno sentiamo parlare di plastica nei mari, ma spesso l’immagine che ci viene in mente è quella delle bottiglie galleggianti o delle buste portate via dalle onde. Il problema, però, è molto più profondo — letteralmente. Le microplastiche, quei minuscoli frammenti invisibili a occhio nudo, stanno viaggiando nei nostri oceani fino a raggiungere i fondali, e i ricercatori stanno cercando di capire come e perché.

 

Dove finiscono le microplastiche negli oceani

Un gruppo di scienziati della Florida Atlantic University ha deciso di andare oltre le approssimazioni e mappare il movimento delle microplastiche a varie profondità. Per farlo, ha analizzato i dati raccolti in quasi 2.000 punti del pianeta in un arco di dieci anni, tra il 2014 e il 2024. Il risultato? Una fotografia molto più chiara (e inquietante) di dove stiano finendo questi frammenti.

Fino a poco tempo fa, la maggior parte degli studi si concentrava sui primi 15-50 centimetri dell’oceano. Ma quella è solo la “pelle” del mare. I dati ora ci dicono che le particelle più piccole, tra 1 e 100 micrometri, sono in grado di spingersi a profondità notevoli. Quelle più grandi, invece, tendono a restare intrappolate nei gyres, i giganteschi vortici oceanici dove si accumulano rifiuti galleggianti.

E non è solo un problema estetico. Le microplastiche stanno modificando il ciclo del carbonio, un elemento chiave per l’equilibrio climatico del pianeta. A 2.000 metri di profondità, queste particelle possono arrivare a rappresentare fino al 5% del carbonio presente, alterando i delicati meccanismi dell’ecosistema marino.

Durante la ricerca sono stati identificati 56 diversi tipi di plastica. Alcuni, come il polipropilene dei vasetti di yogurt, si degradano più in fretta. Altri, come il polietilene delle bottiglie, resistono molto più a lungo e si fanno strada anche in mare aperto. Questo rende difficile sapere esattamente quanto restino in circolo — o dove finiscano.

C’è ancora tanto da capire, e i ricercatori lo sanno. Chiedono strumenti più precisi e soprattutto una collaborazione globale, perché il mare, alla fine, non ha confini. E ciò che buttiamo oggi, potrebbe tornare a galla domani — in un pesce, in un bicchiere d’acqua, o anche dentro di noi.

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