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Durante i mesi invernali, molti animali entrano in uno stato biologico chiamato ibernazione per proteggere il proprio corpo dalle rigide condizioni climatiche. Anche se non tutti gli animali ne sono capaci, l’ibernazione potrebbe essere la soluzione alle sfide poste dai viaggi spaziali prolungati per gli esseri umani.

L’ibernazione è caratterizzata, tra l’altro, da una riduzione del tasso metabolico e da una temperatura corporea interna più fredda. Le specie di primati non hanno questa capacità, in parte, perché il loro sangue è troppo caldo per consentirla (ad eccezione di un lemure del Madagascar, l’unico primate in grado di andare in letargo).

Ibernazione artificiale, cosa sappiamo

I ricercatori dello Shenzhen Institute of Advanced Technology (SIAT) hanno cercato di affrontare lo stesso argomento. A quanto pare il gruppo sarebbe riuscito a indurre un’ipotermia controllata in alcuni primati non umani attivando particolari neuroni nell’ipotalamo.

Utilizzando una tecnica di manipolazione dei neuroni e monitorando il cervello delle scimmie con la risonanza magnetica funzionale, i ricercatori hanno scoperto che l’attivazione dei neuroni (in seguito alla somministrazione di un farmaco specifico) innescava l’ipotermia sia nelle scimmie anestetizzate che in quelle sveglie, fornendo indicazioni su come questa specie di macaco (Macaca fascicularis) regola la propria temperatura corporea.

L’ibernazione artificiale, una nozione presa in prestito dalla fantascienza, ha il potenziale per diventare un giorno una realtà, alleggerendo il peso dei lunghi viaggi nello spazio per le persone. Altri, però, potrebbero obiettare che l’ibernazione nello spazio è un pessimo piano. Non ci resta che attendere gli sviluppi dei scienziati in merito a nuovi test.

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