clubhouse

Sembra quasi inutile dirlo: Clubhouse sta già spopolando. Tra polemiche, critiche e complimenti è indubbio che di questo nuovo audiosocial si stia parlando letteralmente ovunque. Attualmente l’app è a disposizione unicamente per gli utenti che posseggono un dispositivo Apple, ma si spera presto che l’invito possa essere ampliato anche agli utenti di Android. Tuttavia non si è parlato di abbastanza diversi sono gli eventuali rischi per la protezione della privacy. Proviamo a parlarne adesso.

Clubhouse e privacy, una questione nebulosa

Tanto per cominciare, esiste un problema relativo alla maggiore età. Tutte le app tendono a chiedere quantomeno prima che l’iscrizione abbia validità, l’età effettiva dell’utente. In questo caso però non avviene, sebbene si tratti di un social che si rivolge a un pubblico adulto.

Parliamo adesso delle conversazioni. Sono tutte cifrate e nessuna di queste viene registrata. Pertanto si presuppone non ci debbano essere problemi di privacy. L’unica ragione per cui le dirette vengono conservate in un primo momento è solo per poco, e per individuare eventuali violazioni laddove potesse essere utile.

Però. Esiste un grande però in tutto questo. Qualunque utente, come già è successo, potrebbe tranquillamente registrare le conversazioni su Clubhouse con un altro dispositivo e decidere di condividerle su un altro social. In casi del genere club House si libera da qualsiasi responsabilità attraverso l’informativa sulla privacy. Al suo interno infatti esiste un paragrafo sulla sicurezza in cui si dichiara che l’app non ha nessuna responsabilità in caso accada una cosa del genere.

La Alpha Exploration Co. , start-up californiana che ha sviluppato l’app, ha inoltre aggiunto: “Implementiamo misure tecniche, amministrative e organizzative commercialmente ragionevoli per proteggere i dati personali“. Non esiste la possibilità di dichiarare esplicitamente l’autorizzazione al trattamento dei dati personali, rischiando quindi di condividerli senza il permesso degli utenti.

Per concludere rimane ancora poco chiaro in che modo debbano essere considerati gli utenti europei, poiché non è presente, infine, sul territorio europeo un rappresentante della start-up americana, nonostante l’art. 27 del Gdpr lo preveda.

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