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Data l’insistenza di tutti coloro che, invece di rimanere a casa in quarantena, decidono ugualmente di uscire, un modo per risolvere il problema va dunque trovato.

In diversi paesi è già stato attuato un “movimento” per costringere le persone a rimanere a casa. Israele per esempio ha già iniziato a far uso di strumenti di alta tecnologia quali i servizi di intelligence Shin Bet. Essi stanno utilizzando un sistema di monitoraggio degli spostamenti di coloro che sono positivi. Si tratta di un accesso ai dati sensibili, autorizzato dal Parlamento.

Anche la Cina si è data da fare grazie ad un’app che attinge ai dati del governo. Essa è in grado di avvisare coloro che sono stati vicini a un cittadino positivo al Coronavirus, in modo che possano riguardarsi ed effettuare poi un tampone.

Anche la Corea del Sud ha usufruito di un’app per smartphone. I cittadini l’hanno poi scaricata per restare aggiornati e, di conseguenza, troncare lo sviluppo a macchia d’olio del virus pandemico.

Tracciamento degli smartphone: cosa succede in Italia

L’Italia in questo caso si spacca in due filosofie di pensiero: alcuni credono che questa iniziativa sia solo una deviazione alla privacy, altri invece sono d’accordo.

Ne è l’esempio Luca Zaia, il governatore del Veneto.  Questo però tiene conto della questione privacy: “siamo in emergenza, e ci vuole un provvedimento per queste attività” ha affermato.  Ha poi aggiunto: “ci hanno proposto dei software stratosferici, però mi metto nei panni dei cittadini, bisogna che ci sia una legittimazione giuridica”.

Antonello Soro, dichiara invece che “I diritti possono, in contesti emergenziali, subire limitazioni anche incisive, ma queste devono essere proporzionali alle esigenze specifiche e temporalmente limitate“.

E voi, da che parte state?

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