fulmini

In meteorologia si considerano fulmini quei fenomeni atmosferici legati all’elettricità atmosferica che consistono in delle scariche elettriche di grandi dimensioni. Tali scariche elettriche si instaurano tra due corpi con elevata differenza di potenziale elettrico. Sembrerebbe che questi fenomeni atmosferici a dir poco straordinari possano essere utilizzati per datazioni geologiche e climatiche. In particolare, per questo scopo, sarebbero molto utili i “fossili” dei fulmini.

A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Earth and Planetary Science Letters e condotto da ricercatori dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Nello specifico, gli scienziati messicani avrebbero individuato un metodo molto interessante ed ingegnoso come nuovo sistema di datazione geologica. In pratica quando i fulmini colpiscono le montagne possono sciogliere le loro rocce lasciando “cicatrici” contenenti sostanze di natura vetrosa chiamata folgorite. Si tratterebbe di quelli che chiamiamo “fulmini fossilizzati” che potrebbero essere utilizzati come dei veri e propri orologi biologici.

Con questi orologi, inoltre, si potrebbero datare persino i temporali verificatesi decine di migliaia di anni fa. Una cosa davvero molto interessante questa soprattutto per chi studia i modelli climatici di epoche antiche. Già in passato alcuni scienziati avevano tentano di utilizzare le misure della quantità di acqua presente negli strati più esterni dei manufatti vetrosi al fine di stabilire un metodo di datazione geologica efficace. Ma i risultati furono abbastanza scarsi. I fulmini, invece anzi, i loro “fossili” rappresentano una miniera di preziose informazioni al riguardo.

Ciò perché quando i fulmini colpiscono le rocce è abbastanza chiaro quello che avviene: si crea un superficie “pulita” in cui l’acqua può accumularsi. Su tale superficie, inoltre, si creano vari profili di umidità che possono diminuire o aumentare nella stessa roccia. Proprio analizzando queste caratteristiche, si potranno datare le rocce e quando i fulmini le hanno colpite.

FONTEEarth and Planetary Science Letters
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