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Amazon, parlano i lavoratori e spiegano i motivi dello sciopero

Lo scorso lunedì 22 marzo 2021 si è tenuto il primo sciopero in Italia per il colosso dell’e-commerce. Lunedì è stato il giorno dello stop di Amazon, una tappa storica nelle relazioni sindacali con il gigante di Seattle.

Il fermo riguarda un esercito di 9.500 addetti al magazzino e 15 mila driver. Alcuni degli scioperanti hanno voluto spiegarne il motivo. Ecco tutti i dettagli.

 

Amazon e lo sciopero di lunedì, alcuni lavoratori hanno spiegato il perché

Lo sciopero, che a metà giornata ha registrato un’adesione del 75% secondo i sindacati, è stato proclamato da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, mentre da più parti arriva l’appello: “Rispettatelo, non comprate per 24 ore“. Le richieste sul tavolo sono numerose: verifica dei carichi di lavoro, contrattazione dei turni, corretto inquadramento professionale del personale, riduzione dell’orario di lavoro dei driver, buoni pasto, stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali, continuità occupazionale e stop a turnover esasperato.

Dalla sua parte, il colosso di Seattle, ribatte punto su punto: “Mettiamo al primo posto i dipendenti, offriamo loro un ambiente di lavoro sicuro, moderno e inclusivo, con salari competitivi, benefit e ottime opportunità di crescita professionale

“. Dicono gli addetti al magazzino, gli ingranaggi di questa logistica leader nel mondo, che anche la tempistica del dolore è ormai standardizzata.

Giampaolo Meloni ci spiega la sua situazione, ha 38 anni, vive a Piacenza e lavora in Amazon dal 2012. Contratto a tempo indeterminato dal 2014 e stipendio di 1.600 euro lordi al mese. Quello di Castel San Giovanni, infatti, è l’unico centro Amazon in Italia in cui viene applicato il contratto del commercio e non quello della logistica. Giampaolo spiega che il suo lavoro si divide in “pick” e “pack”. “Con il pick devi andare a prendere i pacchi da una parte all’altra e questo significa che mediamente percorri 20 chilometri a turno. Con il pack, invece, se ne vanno schiena, spalle, braccia, polsi. Io stesso ho un tutore alla caviglia“. E come lui tantissimi altri lavoratori hanno spiegato il proprio punto di vista e l’azienda ha sostenuto comunque di essere in regola.

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Pubblicato da
Veronica Boschi