U-Mask

Pare che non se la stiano passando bene U-Earth Biotech, azienda britannica, e Pure Air Zone Italy. Questi due produttori sarebbero sotto indagine dall’Antitrust per le modalità di vendita discutibili delle mascherine U-Mask. Infatti l’accusa sarebbe quella di aver utilizzato informazioni ingannevoli e aggressive per promuovere questo prodotto.

 

Le mascherine U-Mask sotto la lente di ingrandimento dell’Antitrust: informazioni ingannevoli e aggressive

“I claim con cui le società enfatizzerebbero l’efficacia, in termini di prevenzione, delle mascherine in questione appaiono in grado di ingannare i consumatori, inducendoli all’acquisto di un prodotto privo delle caratteristiche e della capacità filtrante pubblicizzata, con conseguente potenziale pericolo per la salute“. Ecco quanto dichiarato dall’Antitrust in merito alle mascherine U-Mask.

Secondo il Garante l’obbiettivo delle due aziende è cavalcare l’onda preoccupata dall’emergenza sanitaria per “indurre il consumatore a comprare a prezzi elevati il prodotto reclamizzato”.

Prodotte in Italia, le mascherine U-Mask hanno riscontrato notevole successo grazie al fatto che molti personaggi famosi le indossano. Inoltre, grazie alla partnership di alcune società internazionali tra cui Formula 1, le due aziende hanno prodotto queste mascherine in versioni speciali molto apprezzate. Ma quali sono i capi di accusa dell’Antitrust?

 

Sono due le informazioni che risulterebbero non corrette

In data 16 febbraio il Garante con la collaborazione della Guardia di Finanza avrebbe ispezionato le sedi delle due società.

I capi di accusa per le U-Mask fondamentalmente sarebbero due. Il primo è che queste aziende avrebbero paragonato la mascherina ai dispositivi di protezione individuale di classe FFP3. Al contrario sono depositate al Ministero della Salute come dispositivo medico di classe 1. Inoltre la U-Mask sarebbe stata dichiarata efficace fino a 200 ore per ogni singolo filtro. Ovviamente questa capacità protettiva, secondo l’Antitrust, “non sarebbe debitamente comprovata”.

La situazione quindi appare grave tanto che l’Antitrust non si è limitato solo ad indagare. Ha infatti avviato un subprocedimento cautelare “volto a verificare la sussistenza dei presupposti per la sospensione provvisoria di tale pratica, assegnando alle società un breve termine per la risposta”.

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