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Usare una falsa email è reato: ecco cosa dice la legge italiana

È normale serbare una certa riluttanza quando una piattaforma, un social network o un server di posta elettronica richiede i dati dell’utente ai fini della sua registrazione. Si teme la perdita della privacy e l’utilizzo delle proprie generalità per fini illeciti. Così quasi tutti abbiamo aperto un account email utilizzando un nome di fantasia, un nickname o un nomignolo.

Cosa si rischia in questi casi? Usare un indirizzo email falso è reato?

Se hai già fatto qualche ricerca su internet ti sarai accorto che, su svariati siti che trattano l’argomento, si dice genericamente che utilizzare un indirizzo email falso è reato. Vengono peraltro citate numerose sentenze della Cassazione a conferma di ciò. In verità, non è così automatico incappare nell’illecito penale.

Non basta cioè creare un account con un nome inventato per andare in carcere. Questo perché la norma del codice penale che disciplina il reato di «sostituzione di persona» richiede “qualcosa in più” rispetto al semplice fatto di fornire false generalità.

Di tanto parleremo meglio nel corso del presente articolo. Spiegheremo cioè se usare un indirizzo email falso è reato e quando, invece, non si rischia nulla. Ma procediamo con ordine. La norma è contenuta all’articolo 494 del codice penale che sanziona il reato di sostituzione di persona.

Bisogna leggere con attenzione ciò che sta scritto in tale disposizione per comprendere se e quando usare un indirizzo email falso è reato. Ne riportiamo dunque l’esatto testo.

«Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sè o ad altri un falso nome […] è punito […] con la reclusione fino a un anno».

La norma, quindi, punisce indifferentemente:

  • sia chi usa il nome di una persona realmente esistente (dice l’articolo: «sostituendo la propria all’altrui persona»);
  • sia chi usa un nome di fantasia o uno pseudonimo (dice l’articolo: «attribuendo a sè o ad altri un falso nome»).

La legge quindi fa rientrare nel reato tutte e tre le ipotesi che abbiamo visto all’inizio di questo paragrafo. Ma attenzione: non basta il semplice fatto di aprire un’email con nome non vero

per far scattare l’illecito penale. La legge, infatti, subordina il reato ad altri due presupposti:
  • uno scopo illecito che può essere:
    • il fatto di procurare a sé o ad altri un vantaggio (vantaggio non necessariamente di natura economica);
    • oppure il fatto di arrecare un danno ad altri;
  • l’induzione in errore della vittima, ossia far credere all’altro interlocutore di essere una persona che non si è.

Pertanto, non c’è reato se:

  • chi adotta un account email con un nome falso non persegue uno scopo illecito ma sta solo cercando di tutelare la propria privacy, senza però approfittare degli altri;
  • chi adotta un account email con nome falso all’atto pratico poi si identifica per il suo reale nome. Non è, infatti, reato il semplice fatto di creare un account email falso, ma il voler far credere alle altre persone di essere chi non si è. Quindi, chi apre un account con il nome Pippo Baudo, ma poi, nel momento in cui intrattiene la conversazione con un’altra persona, si identifica non commette reato. Non commette reato neanche chi si attribuisce un nome di fantasia che non corrisponde a nessun soggetto vivente, sicché è naturale che l’altro conversante capisca che non si tratta del suo nome vero. Si pensi a chi ha un’email con il nome “Superman”.

La Cassazione ha detto che integra il reato di sostituzione di persona la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese, subdolamente incluso in una corrispondenza idonea a lederne l’immagine e la dignità.

 

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Pubblicato da
Alessandro Papa