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Il 26 aprile del 1986, lo stabilimento nucleare di Chernobyl fu il teatro di uno dei più importati disastri nella storia dell’Unione Sovietica. Una serie di errori ed omissioni fece piombare l’Europa in un periodo nero. La nube radioattiva sollevata dall’esplosione del reattore 4 arrivò a toccare anche il nostro paese e provoco un numero incalcolabile di morti.

I casi di tumore derivati dall’assorbimento delle radiazioni sono ancora oggi tantissimi e con buone probabilità questo numero salirà ancora. Anche se recentemente è stato sostituito il sarcofago di sicurezza, l’aerea è ancora molto radioattiva e pericolosa. Le ferite di quella note sono ancora ben visibili nelle zone del disastro e lo saranno ancora per svariati secoli.

Quello che successe precisamente quella notte non lo sapremo mai, tuttavia i superstiti e vari studi hanno permesso di avvicinarsi moltissimo alla verità. La mancata ottemperanza ai regolamenti e alle più basilari norme di buon senso generò la catena di eventi che portarono alla terribile esplosione.

Proprio questo fu infatti l’epilogo del “test di sicurezza” che doveva essere condotto sul reattore 4 quella notte. L’obbiettivo era quello di analizzare le vibrazioni della turbina quando il generatore fosse stato in condizioni di lavoro minime. Tuttavia gli addetti subentrati in turno non avevano le competenze necessarie ad effettuare in sicurezza il test, ne tanto meno sapevano del difetto congenito dei reattori RBMK.

Una volta fallito il test infatti tentarono di riportare la potenza a regime inserendo nuovamente le barre di controllo. Queste avevano però la punta in grafite che reagendo con l’idrogeno del liquido di raffreddamento non lasciarono scampo la reattore 4. Si ebbe infatti una forte esplosione che lo scoperchiò e liberò quindi nell’aria tonnellate di materiale radioattivo.

Chernobyl: la ferita di quella notte non è ancora guarita del tutto

Di fronte ad un disastro di queste proporzioni l’ecosistema è mutato drasticamente. La zona è infatti ancora pericolosa ed inagibile per i non addetti ai lavori. A confermarlo sarebbero alcuni esperti che nei mesi scorsi hanno svolto accurate misurazioni nei pressi della “zona di esclusione”.

Per la prima volta in una missione di questo genere sono stati utilizzati dei “droni“, equipaggiati con alcuni spettrometri da raggi gamma. Il punto di partenza è stato a circa 13 chilometri dall’epicentro dell’incidente e si è mappata un’area di circa 15 chilometri quadrati. Come anticipato, le misurazioni hanno confermato la pericolosità della zona che rimarrà quindi interdetta fino a data da destinarsi.

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