I data center sono le centrali elettriche invisibili del nostro tempo. Alimentano tutto: dai social alla posta elettronica, dalle IA generative ai giochi online. Ma c’è un problema che non se ne va mai: il caldo. Raffreddare quei server che lavorano a pieno ritmo 24/7 è una delle sfide energetiche più costose e urgenti del mondo tech. Non è un dettaglio: parliamo del 30-40% dell’energia usata solo per non farli surriscaldare.
La nuova tecnologia di Sandia e Maxwell Labs
E se ti dicessimo che qualcuno sta provando a raffreddarli… con un laser? No, non per distruggerli, ma per assorbire calore. Sembra assurdo, ma è proprio questa l’idea al centro di una collaborazione tra i Sandia National Labs (sì, quelli delle ricerche energetiche e di difesa) e Maxwell Labs, una startup di Minneapolis che sta facendo parlare di sé.
In pratica, stanno sviluppando una “piastra fredda fotonica” – pensa a qualcosa di sottilissimo, quasi invisibile, mille volte più fino di un capello, fatta con un materiale chiamato arseniuro di gallio. La sua missione? Convogliare con precisione estrema fasci laser verso i punti più caldi dei chip nei server, raffreddandoli in modo localizzato senza bisogno di liquidi, pompe o impianti mastodontici.
Il sistema classico, quello a microcanali pieni d’acqua dentro piastre di rame, funziona bene, ma ha i suoi limiti. Qui invece parliamo di qualcosa che può essere più efficiente, più preciso, e perfino più sostenibile.
E non si tratta solo di risparmiare sulla bolletta energetica. Se i chip rimangono freschi, lavorano meglio. Evitano il cosiddetto thermal throttling (quando rallentano per non fondersi) e possono spingere al massimo senza tirare il freno a mano. Insomma: prestazioni più alte, consumi più bassi.
Se tutto va come sperano, potremmo entrare in una nuova era in cui la luce non serve solo a leggere i dati… ma anche a tenerli al fresco.