TIM e Open Fiber

Sembrava che il piano del governo italiano di creare un’unica rete nazionale a banda larga unendo le attività di TIM e Open Fiber stesse finalmente facendo progressi.

A maggio 2022 sono finalmente iniziate le trattative formali, tramite un Memorandum of Understanding tra TIM, Open Fiber, Cassa Depositi e Prestiti (CDP, l’investitore sostenuto dal governo in entrambe le società), KKR e Macquarie Asset Management che ha posto fine ad anni di stallo.

Il gruppo mirava a raggiungere un accordo vincolante entro ottobre, ma queste discussioni sono state bloccate da opinioni divergenti sulla valutazione degli asset della linea fissa di TIM.

A peggiorare le cose, la nuova amministrazione guidata da Giorgia Meloni, salita al potere in ottobre, si è dimostrata molto meno ricettiva all’idea di una rete unica, insistendo sul fatto che qualsiasi infrastruttura critica dovrebbe essere più saldamente sotto la proprietà del governo.

Di conseguenza, un accordo non si è mai concretizzato, lasciando ancora una volta nel limbo il progetto di rete unica.

La nuova proposta

Tutto è cambiato all’inizio di questo mese, tuttavia, quando KKR ha presentato a TIM un’offerta non vincolante per l’acquisto di una partecipazione nel business di telefonia fissa della società.

L’offerta richiede che TIM trasformi la sua infrastruttura in una nuova attività chiamata provvisoriamente NetCo, che include non solo le attività di banda larga fissa dell’azienda, ma anche la sua unità di cavi sottomarini, Sparkle.

Separare la rete e gli asset aziendali di TIM in unità separate in questo modo è un elemento centrale del piano del nuovo CEO di TIM Pietro Labriola per rivitalizzare le finanze dell’operatore, ciò offrirà maggiori opportunità di investimento esterno.

I dettagli finanziari dell’offerta di KKR non sono stati annunciati formalmente, ma fonti suggeriscono che l’accordo richiederebbe una partecipazione di controllo in NetCo, valutando potenzialmente l’attività a oltre 20 miliardi di euro. Suggeriscono inoltre che la mossa lascerebbe una quota di circa il 30% libera per un investitore sostenuto dal governo, che potrebbe anche avere alcuni poteri di controllo su questioni strategiche.

FONTEtotaltele
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