Il protagonista al centro delle attenzioni di questi ultimi mesi è senza alcun dubbio il gas metano, il noto idrocarburo base è diventato infatti materia preziosissima dopo il conflitto scoppiato in Ucraina per l’invasione russa e ancora di più dopo il danno ai condotti NordStream, fatto che ha palesemente messo in evidenza l’inadeguatezza europea nel monitorare le emissioni di metano.

Contrariamente a quanto accade per la CO2, in Europa oggi abbiamo una scarsa conoscenza delle capacità del metano come gas clima-alterante, e quanto accaduto nel Baltico lo ha ben sottolineato.

Se parliamo però di emissioni in natura, il metano è il secondo gas serra, dopo appunto la CO2, più abbondante ed è responsabile di circa il 30% del riscaldamento attuale, presenta infatti una capacità di intrappolare il calore, definita come indice GWP (Globale Warming Potential), 86 volte superiore a quello della CO2.

 

Pericoloso e poco controllato

Nonostante la sua pericolosità ambientale e non, le stime delle emissioni di metano sono ancora inquinate da un grosso grado di incertezza, cosa ancora più grave se pensiamo che le tecnologie attuali, ci consentirebbero di recuperarlo dall’atmosfera e di ottenere grandi risultati come l’abbattimento del surriscaldamento globale e un miglioramento sul fronte della crisi energetica.

Stando a quanto affermato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), oltre il 70% delle emissioni globali di metano dell’industria Oil&Gas può essere recuperato utilizzando le tecnologie oggi disponibili, con costi minimi per i fornitori.

Secondo Iea, se l’industria Oli&Gas avesse recuperato le perdite di gas da operazioni fossili, il mercato avrebbe goduto di altri 180 mld di mc di gas, che per intenderci, sono oltre il doppio del consumo annuale, che per il MiSE è compreso fra i 73 e 76 miliardi di metri cubi.

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