A ridosso del Prime Day di Amazon milioni di utenti si affrettano a mettere nel carrello i prodotti di loro interesse, attendendo gli sconti del gigante dell’e-commerce per portare a casa il bottino tanto atteso. C’è chi risparmia un anno intero per poi spendere nei giorni dedicati agli eccezionali sconti della piattaforma ideata da Jeff Bezos.

Dietro l’apparente clima di festa che si respira in quei giorni di spese folli, però, c’è un’agghiacciante verità, che porta a mettere fortemente in discussione se sia giusto continuare ad alimentare questo sistema.

L’emittente britannica ITV ha infatti svelato al mondo intero una terribile realtà, che riguarda il premeditato e sistematico spreco di cui Amazon si macchia continuamente.

Amazon, scandalo dei prodotti invenduti: ecco che fine fanno

L’inchiesta portata avanti da ITV ha scoperchiato un vaso di Pandora, svelando che Amazon distrugge ogni anno milioni di articoli perfettamente sani, ma rimasti invenduti, per fare spazio sui propri scaffali.

L’emittente è riuscita a scovare in quale dei magazzini britannici ha luogo questa pratica sconcertante, e il filmato riprende la “zona di distruzione” nel magazzino Dunfermline di Amazon, che rappresenta solo uno dei 24 centri di evasione ordini del gigante americano.

Come riferito dalla stessa emittente, si tratta di una quantità di rifiuti enorme costituita da una gamma davvero ampia di prodotti: Smart TV, laptop, droni, asciugacapelli, cuffie di alta gamma, unità di computer, libri a bizzeffe, migliaia di mascherine sigillate – tutto ordinato in scatole contrassegnate come distruggi” documenta ITV.

Si tratta di “prodotti che non sono mai stati venduti o [che sono stati] restituiti da un cliente. Quasi tutto avrebbe potuto essere ridistribuito in beneficenza o a chi ne ha bisogno. Invece, vengono gettati in ampi cassonetti, portati via da camion (che abbiamo rintracciato) e scaricati in centri di riciclaggio o, peggio, in una discarica” riporta l’emittente. Il che appare ancor più assurdo se si pensa a quante famiglie avrebbero avuto bisogno di questi supporti per permettere ai propri figli di seguire le lezioni in DAD, a quanti lavoratori per potersi permettere l’home working, o a chiunque avesse bisogno di uno qualsiasi di questi prodotti.

Il problema non riguarda solo il Regno Unito, bensì tutto il mondo. In Francia, ogni anno 3 milioni di prodotti invenduti vengono distrutti, in Germania 19 milioni. In Italia la cifra si aggira attorno agli 1,2 milioni all’anno.

Per Amazon, che al centro della sua politica ha l’efficienza e la rapidità del servizio al cliente, svuotare gli scaffali dai prodotti che stazionano da più tempo per rimpiazzarli con nuovi articoli è prioritario. Lo spazio sugli scaffali risulta di vitale importanza per l’azienda.

Ma perché Amazon preferisce gettare dei prodotti spesso ancora sigillati e perfettamente funzionanti, anziché rimandarli al produttore? Perché il costo per ogni reso, come scoperto dall’associazione Mani Tese e riportato nel report dell’aprile 2018, corrisponde a 0,25 euro per unità, mentre la distruzione viene a costare solo 0,10 euro per unità. Appare chiara la convenienza dal punto di vista economico.

Una simile rivelazione dovrebbe avviare una seria riflessione: è ancora il caso di mettere in mano a queste aziende il potere di produrre una simile mole di spreco e di rifiuti? La scelta può e deve partire dal consumatore, ad esempio riducendo o azzerando la quantità di ordini effettuati tramite Amazon, non permettendo di fatto che possano più ripetersi sprechi di questo genere.

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