Alcuni bioingegneri americani hanno progettato un guanto in grado di tradurre la lingua dei segni in lingua parlata e in tempo reale.

Il guanto ha sensori sottili ed estensibili all’interno che scorrono fino alla punta delle dita. Questi sensori sono in grado di captare movimenti e posizionamento delle dita. I sensori sono collegati a un piccolo pezzo di circuito stampato – approssimativamente delle dimensioni di una moneta – che gli utenti indossano ai loro polsi. Pertanto, quando le persone muovono le mani e le dita, il guanto è in grado di tradurre singole lettere, numeri, parole e frasi.

È possibile aggiungere ulteriori sensori sul viso, tra le sopracciglia e ai lati della bocca, per catturare le espressioni facciali. La traduzione effettiva viene eseguita tramite un’app per smartphone che utilizza un algoritmo personalizzato di apprendimento automatico per trasformare i gesti. Il sistema riconosce 660 segni, che include ogni lettera dell’alfabeto e i numeri da zero a nove. Può tradurre ad una velocità di una parola al secondo. L’UCLA ha depositato un brevetto e una versione commerciale richiederebbe più termini e tempi di traduzione più rapidi.

Guanto che traduce il linguaggio dei segni, il nuovo progetto di alcuni bioingegneri americani

La nostra speranza è che questo apra un mondo per le persone che usano il linguaggio dei segni senza bisogno di qualcun altro che traduca”, ha detto Jun Chen, il principale ricercatore di questo studio. “Inoltre, speriamo che possa aiutare più persone a imparare la lingua dei segni”. 

I vantaggi del guanto sono portabilità e peso. I precedenti dispositivi indossabili offrivano funzionalità simili, ma erano pesanti e poco pratici da indossare. Questo nuovo design è molto più leggero e i polimeri sono economici, così come i componenti elettronici. Tuttavia, alcuni ricercatori sordi hanno criticato la ricerca.

“La tecnologia è ridondante, si fa già ampio uso del software di sintesi vocale o di traduzione dei testi sui telefoni, o con semplice carta e penna”, ha detto Gabrielle Hodge, una ricercatrice presso l’University College di Londra.“Sarebbe molto più semplice se la tecnologia si focalizzasse sulla progettazione orientata all’utente e centrata sull’utente in primo luogo, piuttosto che sognare soluzioni che pensano risolveranno tutti i problemi del mondo.”

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