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Sono più di un paio di anni che gli Stati Uniti attaccano incessantemente Huawei. Se all’inizio era solo accuse senza un reale fondamento, perlomeno non c’erano prove concrete fornite al pubblico, l’anno scorso c’è stato il vero attacco. Ecco che il colosso viene inserito all’interno della lista delle entità con un conseguente danno.

Non può commerciare con le compagnie statunitensi e quindi niente licenza Android, tra le altre cose. Questo succede nel 2019, ma secondo un nuovo rapporto, Huawei aveva iniziato a coprirsi le spalle già a partire dal 2018 spaventata, in un certo senso, dalle accuse che gli venivano mosse.

23 miliardi di dollari di componenti e materiali chiave provenienti dagli Stati Uniti che potrebbe fornire al colosso un’autosufficienza tra i 16 e i 24 mesi. Detto questo, sebbene sembra sia una scorta enorme, c’è un problema di fondo.

 

Huawei e la tecnologia straniera

Se il materiale raccolto potrebbe essere utile per processori per smartphone, il problema più grosso rimane tutto il resto, come le infrastrutture di rete. La maggior parte dei processori immagazzinati sono pensati per i server e si tratta di chip Intel, AMD e altri ancora. La maggior parte di questi sono già obsoleti.

Alcuni sono processori specializzati e il fatto che sono diventati obsoleti rendono la copertura di Huawei molto meno efficace, o in alcuni casi inutili. Anche qualora tornassero utili, l’offerta proposta dalla compagnia sarebbe inferiori ai soliti standard a cui tutti si erano abituati.

In aggiunta a tutto questo, c’è anche l’inconveniente di dover affrontare un mercato che in questo momento serve più a Huawei stessa che il contrario. Il colosso è costretto a comprare da terze parti con conseguente aumento di prezzi e senza supporto. In sostanza, se si continua così, Huawei dovrà affrontare mesi molto duri.

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