smartphone come monitorare coronavirus

TIM, WindTre e Vodafone si sono dimostrati aperti a fornire i dati delle celle telefoniche, poiché diverse istituzioni italiane vorrebbero intentare la modifica del nostro ordinamento legislativo sulla tutela della privacy. L’obiettivo è creare un’app su smartphone che consenta di risolvere questa emergenza straordinaria controllando i movimenti di tutti gli Italiani infetti, asintomatici e sani che sono venuti a contatto con il Covid-19.

Ovvio che la paura che da lì in avanti ci si possa sentire facilmente controllati è reale, ma lo stesso Garante della Privacy Antonello Soro ha chiarito che non esistonopreclusioni assolute nei confronti di determinate misure in quanto tali, vanno studiate molto attentamente le modalità più opportune valutando attentamente benefici attesi e costi anche in termini di sacrifici delle nostre libertà“.

 

Smartphone: come possono essere usati per monitorare l’epidemia

Il premier Conte non ha ancora sciolto le sue riserve, mentre al Ministero dell’Innovazione guidato da Paola Pisano sono già giunti diversi progetti per il tracciamento degli smartphone.

Il nodo fondamentale è la protezione della privacy, ma come spiega Massimo Canducci, Chief innovation officer di Engineering, “se un dato può salvare una vita, deve essere usato. Google, Facebook e le altre grandi società tecnologiche quei dati li hanno già. Se chiediamo a un contagiato il consenso per interrogare queste società sui suoi spostamenti, potremmo sapere esattamente dove si è recato e avvertire le persone con cui è entrato in contatto“.

Secondo Canducci, compagnie telefoniche e aziende come Google e Facebook hanno già ampia memoria dei nostri spostamenti, e di certo aprire gli archivi per tracciare gli ultimi 14 giorni di coloro che sono venuti a contatto con il Coronavirus non costa molto. Canducci poi incalza:a quel punto sarebbe possibile per le autorità sanitarie avvisare le persone entrate in contatto con il contagiato, senza dir loro il nome della persona in questione. Una volta fatto questo, lo Stato deve garantire però la distruzione di quei dati, perché altrimenti certo che si verrebbe a creare un problema di privacy“.

Ora la partita si gioca sul diritto alla privacy e sul modo con cui organizzare questa condivisione dei dati che, di solito, aziende come Google e Facebook sono molto restie a diffondere. 

 

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