terremoto california

Il mese di luglio è stato segnato da due scosse di terremoto occorsi in California che hanno letteralmente cambiato il volto del terreno su cui vivono gli abitanti, con effetti  visibili persino dallo spazio. La terra ha tremato violentemente tra il 4 e 5 Luglio con una magnitudo rispettivamente di 6,4 e 7,1 sulla scala Richter.

Il secondo terremoto è risultato essere il più forte degli ultimi 40 anni in California, come riporta la US Geological Survey: così forte che è montata di nuovo la paura del Big One tra la popolazione locale, ovvero un grande terremoto che distruggerà il paese. L’epicentro dei due eventi è stato registrato a 241 km da Los Angeles nella piccola Ridgecrest.

Secondo l’USGS, al forte terremoto del 5 Luglio sono seguite altre 1000 scosse di assestamento, e ciò ha spinto i ricercatori ad analizzare quali siano state le conseguenze sulle faglie californiane.

Terremoto in California: torna la paura del Big One

Nell’immaginario popolare il Big One sarebbe in grado di separare lo stato della California dal continente nordamericano, e sarà la conseguenza diretta della grande energia accumulata dalla faglia di Sant’Andrea che taglia lo stato per 1300 km. Poiché i grandi terremoti sono assenti nella zona meridionale della California da quasi 300 anni, è proprio qui che gli esperti credono sia più probabile che si verifichi il grande evento.

Il geofisico Yuri Fialko, dello Scripps Institute of Oceanography, nel corso dei suoi studi ha dimostrato che la faglia di Sant’Andrea ha accumulato nel corso degli anni un’energia impressionante, che sarà liberata scatenando il Big One. Tale evento potrebbe infatti distruggere Palm Springs e molte città nelle regioni di San Bernardino e Riverside. Gli effetti potrebbero essere devastanti anche per le metropoli come Los Angeles, Orange County, San Diego e Tijuana.

Non essendoci un chiaro indizio di come si formerà un evento di questa portata, i ricercatori del San Andreas Fault Observatory at Depth continuano ad investigare sulla faglia e sull’attività sismica della zona, cercando di mettere a punto un modello che possa permettere di prevenire il Big One e cercare di limitarne i danni.

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