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Vi starete domandando cosa vi ha spinti a leggere un articolo su un #tag social. Bene, #nofilter è uno dei #tag social più diffusi al mondo e viene utilizzato per indicare che sulla fotografia pubblicata non sono stati applicati filtri. Ma ne siamo proprio così sicuri? Scopriamo insieme perché è sbagliato utilizzarlo.

#nofilter o #filter?

Quanti di voi l’hanno utilizzato almeno una volta nella vita? La risposta sarà sicuramente: almeno il 90%. Gli utilizzatori social più accaniti, infatti, si saranno almeno una volta imbattuti nel fantomatico #tag ed avranno (probabilmente) creduto alla veridicità dell’affermazione. «Che bello… il nostro amico è in un posto mozzafiato. Non ha bisogno di filtri!», oppure ancora «Ma guarda che mare meraviglioso. È perfino #nofilter!».

Ed, invece, no. Probabilmente ci rimarrete male, ma ogni singolo dispositivo elettronico digitale ha un proprio algoritmo di elaborazione dell’immagine e dei colori in esso presenti. In altre parole, ogni qual volta premette sul “grilletto/pulsante” per scattare una fotografia, un algoritmo software cerca di carpire i colori naturali dello scatto e li trasforma in pixels luminosi su schermo, andandone anche a modificare le caratteristiche.

Vi siete mai chiesti perché un iPhone da 8MP scatta foto migliori di un cinesone da 12 MP?

Tralasciando l’interpolazione software, pratica a nostro dire al limite della legalità, molto spesso abbiamo sentito dai nostri lettori la fatidica domanda: «Come mai uno smartphone da soli 8MP scatta foto migliori di uno da 20?». La risposta è più semplice di quel che si potrebbe pensare. Semplicemente alcuni smartphone (leggasi top di gamma), nonostante un minor pixelaggio (che consiste nella mera quantità di pixel presenti nel singolo scatto – per intenderci, serve per avere uno zoom migliore) hanno un’ottimizzazione software migliore. Questo si traduce in scatti migliori in tutte le condizioni. Gli algoritmi di elaborazione automatica dell’immagine (i cui processi non sono visibili dall’utente), quindi, ne modificano automaticamente i colori, il contrasto, la saturazione, al fine di evitare all’utente ulteriori modifiche.

Vi siete mai chiesto perché rispetto ad alcuni anni or sono, sentite sempre di meno la necessità di modificare le vostre fotografie in post produzione? Semplicemente perché nel corso del tempo la qualità nell’elaborazione è sensibilmente migliorata, molto di più della qualità stessa del sensore. Ciò è ancor più evidente con gli ultimi dispositivi dotati di intelligenza artificiale. Honor 10, Huawei P20 e P20 Pro, LG G7 e compagnia bella, riconoscono diversi paesaggi ed utilizzano differenti settaggi per creare uno scatto perfetto. Addirittura con Honor 10 si parla di sementazione semantica, vale a dire lo scatto è “spacchettato” in tante piccole macro-zone identificate da specifiche figure (cibo, mare, auto, ecc.) ed ogni singolo soggetto all’interno della fotografia viene automaticamente modificato a livello software.

Lo stesso vale anche per le macchinette fotografiche

Sì avete capito proprio bene. Anche le reflex, le mirrorless o qualsiasi altro apparecchio fotografico digitali interpone dei filtri tra noi e lo scatto originale. Ma allora com’è possibile ottenere lo scatto veritiero di ciò che effettivamente abbiamo fotografato?

La risposta è: attraverso il formato raw. Questo formato, infatti, immagazzina tutte le informazioni possibili in qualità originale o simil originale (ma qui non entriamo troppo nel dettaglio altrimenti si impazzisce) senza applicare filtri o altro. Le foto, però, in questo caso sarà poco sature, poco contrastante… insomma sicuramente non da social!

Il nostro consiglio, dunque, è quello di diffidare dai millantatori del #nofilter, perché neppure le macchine analogiche lo sono realmente. L’unico vero #nofilter è l’occhio umano, collegato direttamente alle nostre emozioni puramente analogiche. Vedere ed assaporare il mare con la brezza marina che spira su di noi, non avrà mai prezzo nemmeno di fronte ad un super 12K IPER MEGA AMOLED con tecnologia extra-terrestre. Passo e chiudo.

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