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Un sistema per comunicare con i pazienti paralizzati

È possibile ascoltare le persone intorno, ma non si può parlare. Si può sentire un tocco, ma non si può toccare a nostra volta. Si può vedere, ma non è possibile spostare o anche solo strizzare gli occhi. Questa è la vita di un paziente completamente locked-in o paralizzato, una persona che detiene ancora le funzioni del cervello, ma la paralisi è completa. Questa può essere causata da ictus, lesioni cerebrali traumatiche, overdose di farmaci o malattie del sistema circolatorio e nervoso, come la sclerosi laterale amiotrofica (anche nota come SLA o morbo di Lou Gehrig).

I pazienti sono generalmente e completamente bloccati e non sono in grado di comunicare con il mondo esterno. Un nuovo studio ha dimostrato che qualcosa però può essere fatto per aiutarli.

Un team internazionale di scienziati ha comunicato con i pazienti completamente paralizzati utilizzando un sistema di interfaccia cervello/computer non invasivo. I ricercatori si sono avvalsi di un sistema per decodificare i pensieri dei pazienti, mentre a questi veniva chiesto di rispondere a domande “sì” o “no”.

Niels Birbaumer, ricercatore presso il Centro Wyss Bio e Neuroengineering in Svizzera e autore principale del nuovo studio, ha detto di non essere stato sorpreso dai risultati. “Nessuna sorpresa, ma piacere”, ha confermato Birbaumer. “La famiglia di un paziente lo sta usando regolarmente“, ha detto del nuovo sistema. “Con un po’ di formazione, ognuno può imparare ad usarlo“.

Per decodificare cosa pensavano pazienti, il sistema funziona grazie ad una spettroscopia vicina all’infrarosso, uno strumento in grado di misurare il flusso di sangue e l’ossigenazione del cervello, ed un elettroencefalografia (EEG), che può misurare l’attività elettrica nel cervello. “Dal momento che nessun’altra tecnica consente una qualsiasi comunicazione con questi soggetti, questo può essere considerato un importante passo avanti“, ha affermato Andrew Schwartz, illustre professore di neurobiologia presso l’Università di Pittsburgh.

Quattro i pazienti coinvolti negli esperimenti e che hanno partecipato allo studio. Nel corso di diverse settimane, i ricercatori hanno ripetutamente chiesto ai pazienti di rispondere semplicemente “sì o no” o “vero o falso” ad alcune domande, mentre i pazienti erano collegati al sistema di comunicazione. Mentre i pazienti pensavano alle loro risposte, i ricercatori hanno analizzato le variazioni nelle misurazioni del sistema per determinare se il paziente stava pensando a un “sì” o a nessuna risposta. Gli stati mentali per “sì” o un “no” erano diversi a causa dei cambiamenti di ossigenazione, ma il sistema non poteva decifrare lettere o parole specifiche.

Questo studio potrebbe contribuire a trattare la SLA?

I pazienti hanno risposto correttamente a un tasso di circa il 70% delle domande. Una volta che i ricercatori hanno determinato il fatto che i pazienti erano stati addestrati su come rispondere alle domande, hanno proseguito con domande aperte ma con risposte note, come ad esempio “Sei felice?”. I ricercatori hanno scoperto che i pazienti più volte hanno risposto a domande inerenti la qualità della vita con una risposta “sì”, il che indica un atteggiamento positivo verso la vita.

Birbaumer e i suoi colleghi avevano usato solo la spettroscopia nel vicino infrarosso per comunicare. Questi nuovi risultati segnano circa 25 anni di ricerca. Il nuovo studio è riuscito a mostrare un approccio creativo nello stabilire una certa forma di comunicazione con pazienti affetti da SLA. “La conclusione è che questa potrebbe essere una tecnologia promettente, minimamente invasiva che si potrebbe usare“, hanno detto. “E’ abbastanza convincente ottenere risposte ‘sì o no’ da questi pazienti. Ora, se si potessero raggiungere risultati più sofisticati, come essere in grado di imparare una o essere in grado di digitare, per esempio, da soli i propri pensieri, richiede più ricerca”. Ma si affrettano ad aggiungere: “Tenete a mente che l’obiettivo sarebbe quello. L’obiettivo è quello di pensare e dare una comunicazione più significativa”.

Gli impianti cerebrali

I ricercatori hanno utilizzato chip cerebrali impiantabili o lampeggianti come modo per comunicare con i pazienti e a seconda della gravità dello stato di paralisi. Anche se alcuni pazienti hanno un certo controllo dei loro movimenti oculari, quanti sono completamente paralizzati lo hanno perso completamente. La Northeastern University di Boston, gli studenti hanno sviluppato un dispositivo di comunicazione cervello/computer che ha permesso ad un paziente di aver controllo di una tastiera su schermo grazie al solo uso degli occhi per digitare i messaggi. Il paziente deve strizzare gli occhi per selezionare alcune lettere sullo schermo e metterle in una frase.

Il dispositivo non è sul mercato per la vendita o l’uso. “Di solito, in informatica, si allena un computer a fare qualcosa con l’apprendimento automatico. Ma qui, si sta allenando una persona che non può comunicare a manipolare i suoi stati del cervello per produrre una risposta“, ha detto un autore dello studio. “Si sta affrontando un problema che è reale e molto impegnativo“. Ci vorrà ancora del tempo prima che qualsiasi dispositivo di comunicazione possa essere comunemente utilizzato dai pazienti. In primo luogo, la ricerca deve essere replicata e condotta in ambienti del mondo reale. “C’è una lunga strada da fare“.

Inoltre, sono necessarie ulteriori ricerche per assicurare che le domande possano essere poste ai pazienti con una maggiore precisione. “Questo darebbe ai pazienti più potere“. I maggiori ostacoli alla diffusione sono probabilmente il costo notevole di sviluppo e il mantenimento del sistema, in combinazione con il fatto che può aiutare davvero pochissime persone, Quindi è un po’ come un farmaco orfano. “E’ molto utile, ma solo per pochissime persone. Ci sono anche importanti implicazioni etiche“, ha concluso Schalk. Per esempio, una interfaccia cervello/computer potrebbe consentire al paziente di comunicare ed esprimere il consenso se vivere o morire. Tali interfacce permettono ai pazienti di prendere decisioni sulle proprie cure. “Spesso, ad esempio, per le cure mediche, è necessario avere il consenso. Questo darebbe ai pazienti la possibilità di fare delle scelte per la propria cura“.

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